Recensione Marguerite et Julien

Valerie Donzelli decide di osare portando in scena il racconto di due fratelli incestuosi, ma si perde completamente nelle intenzioni e nella messa in scena restituendo solo tanta supponenza e confusione.

Recensione Marguerite et Julien
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È notte inoltrata all'interno di un orfanotrofio femminile: a giudicare dagli abbigliamenti e dal mobilio siamo circa nel sedicesimo secolo e alle bambine non sembra proprio voler venire la voglia di dormire. È successo qualcosa in quella giornata, qualcuno ha visto Marguerite et Julien - ma come erano vestiti? Davvero erano loro? Chi lo ha detto?
Tante domande si pongono le bambine, una sola se la pone lo spettatore: chi sono Marguerite e Julien? A dare la risposta ci pensa una delle ragazze più grandi, che inizia a narrare la loro storia alle bambine e a noi - di due fratelli il cui amore incestuoso e ovviamente proibito li ha portati a vivere un'esistenza di sofferenze e di clandestinità. Un soggetto, quello dei due fratelli innamorati ed impossibili da separare, che racconta in maniera acutizzata quel pazzo amore tanto caro a François Truffaut, motivo per cui la sceneggiatura di Jean Gruault era sulla sua scrivania prima di arrivare nelle mani della Donzelli ed in Concorso al 68° Festival di Cannes.
I due fratelli sono inseparabili fin da bambini: Julien disegna la sorella più piccola, la divinizza, sembra non riuscire a staccarsene tanto da dover costringere lo zio ecclesiastico a mandarlo in collegio, spedendolo in Germania, in Inghilterra e poi a Parigi - fuori da quella campagna in cui invece rimane Marguerite, a crescere senza di lui. Eppure, anche da adulti il loro legame non cambia, si trova anzi ad evolversi e a crescere insieme ai loro corpi. L'evoluzione del loro amore e delle loro pulsioni, li porterà in un baratro inevitabile da cui né i genitori, né lo zio né matrimoni forzati riusciranno a farli uscire.

Un progetto ormai morto, che forse sarebbe stato meglio se fosse rimasto tale

Sui motivi che spinsero Truffaut a non realizzare il film non possiamo interrogarci: una volta terminato di vedere Marguerite et Julien è possibile però affermare che sarebbe stato bello se anche la Donzelli fosse arrivata alla stessa conclusione, evitando di proporre al pubblico un film così poco convincente da apparire assurdo, inconcludente e a tratti imbarazzante.
C'è (c'era?) una parola per descrivere il cinema di Valerie Donzelli, ovvero leggerezza. La Guerra è dichiarata metteva in scena una tragedia enorme affrontandola con una vena ironica profondamente intelligente, ed il suo ultimo Main dans la main, anche se meno brillante, risulta comunque deliziosamente fiabesco e molto convincente. Di quella regista non sembra essere rimasto altro che un piacevole ricordo, sotterrato sotto strati e strati di supponenza che in Marguerite et Julien si traducono in una messa in scena schizofrenica, a tratti insensata, in un miscuglio assurdo di generi e stili diversi che non fa altro che rendere l'intero svolgimento troppo confuso.
Si ha l'impressione di non capire la direzione che Valerie Donzelli vuole prendere, e forse non lo sa nemmeno lei. Si passa dal melodramma classico ad uno stile forzatamente pop, dalla rigida compostezza di scene corali a tavola rubate dal set di Downton Abbey ad un arresto con polizia forzatamente postmoderno che ricorda un po' Baz Luhrmann ed il suo Romeo&Juliet. Anche il periodo storico appare poco chiaro, nonostante i veri Marguerite e Julien, da cui la storia è tratta, siano vissuti alla fine del ‘500: qui appaiono elicotteri e macchine un secondo prima di re e carrozze, scelta stilistica che non comunica nulla ma anzi mette in difficoltà lo spettatore.
In tutta questa cacofonia stilistica - che purtroppo coinvolge anche la fotografia - non si salvano nemmeno gli attori. Anaïs Demoustier è ben lontana dalle pennellate delicate che François Ozon le aveva cucito addosso, e perfino Jérémie Elkaïm (attore feticcio ed ex marito della Donzelli) appare emanciato, poco espressivo e fuori posto.

Marguerite et Julien Portato sul grande schermo da Valerie Donzelli dopo essere passato per le mani di François Truffaut (che non lo ha mai realizzato) Marguerite et Julien si presenta come una storia delicata da raccontare e necessitante di un certo equilibrio che invece la regista fallisce completamente. La messa in scena schizofrenica dimostra un'intenzionale postmodernismo fastidioso per lo spettatore, che allontana dal cuore della drammatica vicenda. Perfino il punto di vista, che sembra voler giustificare l'amore incestuoso, si spinge troppo in là e rende il film un esperimento decisamente malriuscito.

4

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