Recensione Marco Bellocchio Collection

Lo sguardo 'umano' di Bellocchio

Recensione Marco Bellocchio Collection
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Coraggioso e disincantato narratore, Bellocchio ha dimostrato sin dagli esordi una particolare propensione nell'indagare la complessità dell'animo umano: sia esso condizionato dalle pressioni della società o da endemiche pulsioni interne. Ed è nell'esplosiva (spesso implosiva) mistura di famiglia, politica, religione (o meglio ateismo) che Bellocchio ha sempre trovato terreno fertile per portare avanti la sua cinematografia, quel mix inscindibile di realtà e follia, sobrietà e sregolatezza, amore e odio che - volenti o nolenti - plasma il corso di ogni esistenza umana. In occasione della consegna del Leone d'Oro (nell'ambito della 68.a Mostra Internazionale d'Arte Cinematografica di Venezia) alla carriera, Rai Cinema e 01 Distribution presentano un doppio cofanetto che racchiude otto fra i titoli più significativi della produzione cinematografica del regista piacentino.
Qui di seguito una panoramica dei film (Cofanetto 1 in prima pagina, cofanetto 2 in seconda pagina):

I pugni in tasca (1965) - 104 minuti

“Che l’età verde sarei dannato a consumare in questo natio borgo selvaggio”. (Ale)

I pugni in tasca del 1965 segna l'esordio (trionfale) alla regia di Bellocchio, disarmante ritratto di una indolente e funesta società in cui già scalpitano i prodromi della rivoluzione sessantottina. In una mimetica provincia emiliana vive una diroccata famiglia medio-borghese composta da una madre, oramai cieca e rifugiata nei ricordi, e i suoi quattro figli: l'epilettico e ritardato Leone, la problematica Giulia, l'instabile ‘Ale' (un incontenibile Lou Castel), e infine il bell'Augusto, l'unico ad avere una flebile prospettiva di vita ‘normale'. Il dramma umano si va condensando attorno alla torbida mente di Ale e alla sua latente perfidia; personaggio-simbolo dei malumori e delle inquietudini societarie, egli incarna quello che si rivelerà più tardi uno dei temi più indagati dal regista piacentino: la follia umana intrappolata e insita nella quotidiana ‘normalità'. Tema che va di pari passo con un altro tema-pilastro della cinematografia del regista: la famiglia (soprattutto borghese) in cui galleggiano o affogano le singole individualità.

Addio del passato (2000) - 47 minuti

“Amami Alfredo quant’io t’amo...”. (Violetta)

Il titolo (Addio del passato) è tratto dal III atto di una delle più celebri opere di Giuseppe Verdi, cui è dedicato questo splendido medio metraggio, nato come omaggio al compositore in occasione dei cento anni dalla sua morte. Bellocchio realizza con questo lavoro un triplice inno: alla sua città Piacenza, alla musica, e infine a Verdi, raccontato tramite le sue imperiture opere, in particolare la Traviata, che tutti i piacentini amano, cantano, sognano. Attraverso le tante Violette e i tanti Alfredo (soprani professionisti e non) Bellocchio sublima così l'immagine di un musicista che tanto ha significato e significa per la città di Piacenza. In un'opera fatta di emozioni in divenire, accompagnate dalla nobile musica della Traviata, l'amore di Bellocchio per la sua città si fonde dunque a quello di Verdi per l'amore puro, in un risultato di enorme suggestione visiva e uditiva.

Vacanze in Val Trebbia (1981) - 45 minuti

"_Vendere non significa semplicemente vendere e realizzare dei soldi. Vendere significa decidere di chiudere con una certa realtà, decidere di chiudere con un certo passato_"

Estate 1978. Marco Bellocchio (qui il regista appare nei panni di sé stesso) parte con moglie e figlio per trascorrere le vacanze estive nella natia Bobbio, e per decidere se vendere o meno la storica casa di famiglia. I bambini inscenano una piccola recita, i ragazzi giocano al Cristo in croce, i grandi mangiano, discutono, s'infervorano. Al breve racconto di immagini estive (talvolta un po' ridondanti) si aggiungono poi le oniriche evasioni del protagonista, andando a creare quell'esercizio di cinema (come lo definisce lo stesso Bellocchio) che diventerà la prefazione al racconto autobiografico proseguito poi con i due capitoli Sorelle. È un racconto nostalgico di memorie mescolate fra di loro e sfruttate al fine di rievocare un passato privato e personale ma anche un'intera epoca (zoccoli pescura, pantaloni a zampa, passioni). Ancora una volta il reale e l'onirico s'intrecciano per raccontare la difficoltà dell'uomo di tagliare il cordone ombelicale con le proprie radici, simbolicamente rappresentate dalla casa da vendere; e ancora una volta saranno le fresche acque del Trebbia (nel raccordo circolare dei lettini che galleggiano verso la grotta) ad accogliere l'uomo per questa sorta di ‘irrisolta riconciliazione' con il passato.

Sorelle mai (2010) - 104 minuti

“Adieu, adieu, adieu, addio al mondo, ai ricordi del passato, ad un sogno mai sognato, ad un attimo d’amore che mai più ritornerà”. (Domenico Modugno)

Più che di un vero e proprio film si tratta di una collezione di episodi, facenti parte di una sorta di Diario personale iniziato con Sorelle (2006) e che coprono un arco di tempo che va dal 1999 al 2008. Al centro della storia corrono parallele le vite di Giorgio, sua sorella Sara (una intensa Donatella Finocchiaro) e delle ‘mitiche' zie (onnipresenti nei film di Bellocchio), sempre pronte a prendersi cura di tutto e tutti e che rappresentano un ineludibile legame con la natia terra piacentina: l'avita casa di famiglia, Bobbio, il fiume Trebbia. Un film che molti hanno definito "di riconciliazione" con quel passato ingombrante e asfittico con cui Bellocchio aveva iniziato a fare i conti ne I pugni in tasca e con il quale non si era mai realmente ‘riappacificato'. Cosa che invece il regista sembra fare con questo ciclo di ininterrotti ritorni e abbandoni, incorniciati in un ritratto intimista della sua terra, e che si barcamena melanconico tra la voglia di evadere e la irruente necessità (comune a tutti noi) di restare ancorati alle radici. Un liberatorio tuffo nei sentimenti umani che scivola via sulle note del Vecchio frac di Modugno.

L’ora di Religione - Il sorriso di mia madre (2002) - 102 minuti

“Impegna la tua coscienza sulle corna di tua moglie e vedrai che non avrai più tempo per affliggerti”. (La zia Maria)

Ernesto Picciafuoco (Sergio Castellitto), pittore senza fama, riceve la visita di un prete che gli annuncia che è in corso il processo di beatificazione di sua madre, uccisa da uno dei figli (malato di mente) e quindi papabile di martirio. Attorno a lui, in un ambiguo concerto di voci, amici e parenti sostengono che l'aldilà è un'assicurazione sulla vita e dunque, credenti e (soprattutto) non, si affannano ad avvalorare la tesi della presunta santità nella speranza di vedersi assicurati, in virtù di un qualche legame con la Santa, i diritti del dopo-vita. Attraverso un discorso estetico tra bellezza e 'bruttezza' Bellocchio indaga ancora una volta il tema dell'ateismo, affidando al sorriso ribelle, sardonico e derisorio (che poi è quello della madre in onor di santità) di Ernesto Picciafuoco il ruolo spirituale e catartico di guida: per il figlio, ancora in bilico tra fede e agnosticismo, per il fratello malato, opportunamente ‘sfruttato' ai materiali scopi della famiglia, per la (presunta) insegnante di religione e infine per sé stesso. Ancora un lucido e toccante ritratto di una società vittima di conformismi e ipocrisie.

Buongiorno, notte (2003) - 105 minuti

“Buongiorno, mezzanotte.
Torno a casa.
Il giorno si è stancato di me:
come potevo io - di lui?
_Tu non sei così bella, mezzanotte.
Io ho scelto il giorno_”. (Emily Dickinson)


Con Buongiorno, notte (un titolo che s'ispira a una poesia di Emily Dickinson), Bellocchio torna a parlare degli anni di piombo e in particolare dell'assassinio di Aldo Moro. Ma lo sguardo filmico non è quello classico incentrato sull'evento in sé, si tratta piuttosto di un film intimo che mette a fuoco i personaggi, i volti, gli occhi che quella vicenda l'hanno vissuta e plasmata, attimo dopo attimo, sensazione dopo sensazione. Uno sguardo più che altro fedele allo stato d'animo in evoluzione dei brigatisti, così come a quello dello stesso Aldo Moro, che si scioglie attraverso un punto di vista femminile (come sarà per il Mussolini di Vincere ritratto attraverso gli occhi di Ida), ovvero quello di Chiara (una sempre intensa Maya Sansa), fortemente legata all'ideale rivoluzionario eppure col tempo sempre più disposta a metterlo in discussione. E quando in lei la forza dell'ideologia inizierà a scontrarsi con il fantasma della morale, la sua determinazione comincerà a sfumare in oniriche immagini di evasione, capaci di carpire lo scarto esistente tra il simbolo e la persona, l'ideologia e la vita umana, e di insinuare un dubbio: cosa sarebbe stato se il sogno di escapismo avesse prevalso sulla estemporanea e indomita forza dell'ideologia?

Il regista di matrimoni (2006) - 100 minuti

“Solo me ne vo per la città
passo tra la folla che non sa
che non vede il mio dolore
cercando te, sognando te, che più non ho_". (Mariangela Melato)


Matrimoni letterari, di convenienza, matrimoni su pellicola e matrimoni impossibili si fondono in questo film di personaggi frustrati e recalcitranti che inseguono il sogno, come chiusi in una bolla di follia. Ed è tramite il personaggio di Franco Elica, regista visionario impegnato in una nuova riduzione de I promessi sposi, la sua fuga verso il sud, l'invaghimento per Bona (moderna Lucia) e l'incontro con il regista Smamma (moderno Fu Mattia Pascal), che Bellocchio indaga l'irrazionale bivalenza della vita umana, al pari dei matrimoni anch'essa luminosa e oscura, fatta di pulsioni e frustrazioni. Ed è proprio nell'alter ego Franco Elica (a sua volta continuum ideale del Picciafuoco de L'ora di religione - entrambi incarnati dal sanguigno Castellitto) che Bellocchio trova la chiave per esplorare una realtà di sogni, paure, ingiustizie, (in)consciamente governata dai morti e dalle loro volontà. Un controverso percorso per rivendicare il suo ateismo, ma anche quel sottofondo esistenziale di frustrazioni terrene che c'inchiodano in vita per (ri)scattarci (forse) in morte.

Vincere (2009) - 124 minuti

"Sento di avere il dovere di essere diverso da tutti quelli che accettano la propria mediocrità. L'esercito dei buoni che non riesce neanche a immaginare come questa società possa esser cambiata, trasformata, rivoluzionata andando oltre la morale". (Benito Mussolini)

Gli anni giovanili di Benito Mussolini (in cui già vive il germe di quella follia animata dal fascino del potere che ottunde finanche il sentimento di pietà), la sua magnetica ars oratoria e il suo rapporto con Ida Dalser (legata all'uomo da un amore a dir poco devoto e che per lui si spoglierà di tutto), sua prima (presunta) moglie e madre del suo primogenito Benito Albino Mussolini. Poi (nella seconda parte) l'ascesa al potere, il matrimonio ufficiale con Rachele e il disconoscimento di Ida, fino al punto (di fronte all'ostinazione di lei a dichiararsi legata al Duce) di separarla dal figlio e farla internare. Una storia privata e tragica che si fonde, tramite i filmati di repertorio in bianco e nero, alla storia dell'Italia di quegli anni, messa a tacere dalle guerre e dal fascismo, in una discesa agli inferi che rispecchia da vicino quella personale di Ida Dasler, confinata nella pazzia e abbandonata nella morte. Un'intensa pagina di storie, privata e nazionale, ben raccontata dalle ottime interpretazioni di Giovanna Mezzogiorno e Filippo Timi e, ancora una volta, dalla sapiente regia di Marco Bellocchio.

Cofanetto Bellocchio Quello di RAI Cinema e 01 è quasi un atto dovuto nei confronti di uno dei Maestri del cinema italiano. Il doppio cofanetto uscito proprio in occasione della consegna del suo Leone d'Oro alla carriera non è che un'ulteriore consacrazione al lavoro del regista piacentino, e permette di avere nella propria cineteca alcuni dei suoi migliori lavori nella miglior qualità audio/video possibile. Altalenante la dotazione di contenuti speciali, a seconda della pellicola presa in esame. Deludenti, sotto questo aspetto, due film recenti quali Addio del passato e Buongiorno, notte, mentre inaspettatamente ricchi di extra pellicole come Il regista di matrimoni, Sorelle mai e soprattutto il classico I pugni in tasca. Dedicato a chi ha il cinema italiano nel cuore.

8

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