Recensione Man of Tai Chi

Keanu Reeves esordisce alla regia con un omaggio ai film di arti marziali

Recensione Man of Tai Chi
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Tiger Chen è l'ultimo erede di un'antica corrente del Tai Chi, una leggendaria arte marziale cinese. Ma il ragazzo, che di giorno lavora come fattorino, non riesce a trovare la pace interiore necessaria per mettere in pratica gli insegnamenti del suo anziano maestro, provato dallo stress e dalla mancanza di un obiettivo. Durante un torneo di arti marziali viene notato da Mark Donaka, un losco uomo d'affari che dietro l'attività di magnate delle comunicazioni gestisce in realtà un sottobosco di incontri clandestini, i cui contendenti vengono pagati profumatamente. Tiger, attratto dai soldi facili ma soprattutto dal fuoco della lotta che scorre in lui, accetta l'offerta di Donaka, finendo invischiato in una torbida realtà dalla quale non sarà semplice uscire...Esordio dietro la macchina da presa anche per Keanu Reeves, ex-star planetaria di Matrix e da qualche anno incapace di tornare ai successi di un tempo. Periodo ideale quindi per provare il grande passo come molti suoi colleghi, e passare in cabina di regia pur ritagliandosi anche il ruolo di villain della pellicola. Reeves, che non ha mai nascosto il suo amore per le arti marziali, ha scelto perciò la Cina per realizzare la sua opera prima, affrontando il topoi classico del lottatore costretto a combattere dagli eventi. Inoltre il Neo della trilogia wackoskiana ha sperimentato per la prima volta un nuovo tipo di cineprese, chiamate Iris, per seguire da vicino e in piano sequenza tutti gli scontri del film.

Il risveglio della tigre

Man of Tai Chi è un titolo per gli appassionati realizzato da un appassionato. E, perciò, rivolgendosi ad una precisa fetta di pubblico, gli si possono perdonare diverse ingenuità sia in fase di narrazione che in quella registica, visto che comunque Reeves riesce a centrare il cuore della storia, realizzando dei combattimenti frenetici ed esaltanti che quasi raggiungono i fasti dei classici del genere. Affidandosi ad un protagonista eccelso nelle arti marziali (un po' meno in quelle prettamente attoriali, ma non è ciò che conta in questo contesto) come Tiger Chen, che qui interpreta se stesso, e ritagliandosi il ruolo del cattivo (con un combattimento finale che lo vede impegnato), Reeves dimostra tutto l'amore per il filone soprattutto nelle riprese e nello studio delle coreografie (affidate ad un maestro come Yuen Woo-ping, già al lavoro in Matrix come lo stesso Tiger Chen), in grado di catalizzare nel migliore dei modi tutta la poesia guerriera di uno stile pacifico come quello del Tai Chi. Non manca naturalmente un percorso introspettivo del personaggio principale, che rischia più volte di cedere al lato oscuro salvo poi, come d'uopo e logico, redimersi nell'ultima parte, e nemmeno una sotterranea componente poliziesca nelle indagini delle tenace poliziotta Sun Singshi (interpretata dalla bella Karen Mok), detective agli ordini del superintendente Wong (il mitico Simon Yam, volto assai noto ai cinefili orientali) che da mesi cerca di incastrare proprio Donaka. In un mix di vari stili di arti marziali (che pare ricordare alla lontana un altro esordio registico come quello di Van Damme con La prova) il coinvolgimento per i fan del genere è quindi assicurato, consci che non si troveranno certamente di fronte ad un nuovo cult ma soltanto ad una pellicola piacevole e realizzata con una certa passione.

Man of Tai Chi Keanu Reeves esordisce dietro la macchina da presa con un omaggio alle arti marziali da lui tanto amate, e affida il ruolo del protagonista a Tiger Chen, già al lavoro con lui in Matrix (da cui arriva anche il maestro delle coreografie Yuen Woo-ping). Ne esce fuori un film onesto, che non fa gridare al miracolo ma che mantiene le sue premesse di partenza. Un canovaccio classico per una pellicola che è per lo più indirizzata soltanto ai fan del filone, che difficilmente ne resteranno delusi.

6

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