Recensione Macbeth (2015)

Justin Kurzel si imbarca nel difficilissimo tentativo di riportare sul grande schermo una delle opere più tragiche di Shakespeare, e lo fa con un grande impatto visivo ed una messa in scena impeccabile, coronati da ottime interpretazioni.

Recensione Macbeth (2015)
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Tamburi, corni, bassi che suonano come echi lontani: c'è una battaglia che sta per arrivare, si avverte nella terra umida e si odora tra la nebbia della Scozia, bagnata dall'umido dell'atmosfera e dal fango calpestato dai soldati. C'è una battaglia che sta per arrivare. La si combatte a mani nude, con le urla a caricare, segni di guerra sul viso ed il sangue tra le mani - niente armature, niente cavalli, nessuna nobiltà nell'apparenza ma solo nei corpi che si stralciano, nelle viscere che ribollono, dopo quell'istante che sembra eterno nel momento in cui il suono del metallo delle spade riesce a sovrastare tutto, a rendere il resto solo silenzio. Oppressivo ed assordante.
C'è una battaglia da combattere, e per questa Macbeth abbandona una moglie, un cordoglio troppo breve, un figlio senza vita che ha a malapena avuto il tempo di toccare per l'ultima volta. In quella battaglia vince un pezzo di stoffa che lo proclama Thane of Cawdor così come le streghe gli avevano predetto durante la battaglia, insieme ad un "Tu che sarai re" che dopo quella vittoria sembra ancora più vero.
Con quel pezzo di stoffa Macbeth torna vincitore e allo stesso tempo avvelenato da un pensiero, che il suo cuore così bianco prova a combattere e tuttavia nulla può contro i sussurri del suo amore, che con l'aspetto di un fiore innocente e l'anima del serpente sotto di esso lo accarezza con un piano fatto di morte e sangue per arrivare a compiere quell'ultima profezia, e riempire la sala del trono di urla di trionfo.
Hail, Macbeth!, un tempo giusto e ora corrotto. Hail, Macbeth!, imprigionato nella sua stessa mente e nella follia di un trono che non potrà mai avere una sua discendenza. Hail, Macbeth!, che di quella follia muore in un trionfo di sangue e polvere, tra le carni che ha massacrato e le fiamme che ha ordinato, in un ultimo barlume di cieca follia perduta troppo tardi.

Things without all remedy should be without regard: what's done is done.

Tante, forse troppe le immagini che si sono susseguite negli anni e che insieme ai tamburi, ai sussurri di Marion Cotillard e alle urla di Michael Fassbender ci passano davanti: visioni di Orson Welles, di Roman Polanski, di sussurri ed urla arrivati prima di quelli che vediamo ora e che sono lì, ad inquinare un'esperienza a cui però si deve lucidità. Se si riesce a dimenticare tutto ciò che è stato e tornare alla fonte, al testo shakespeariano riportato da Justin Kurzel in maniera fedele sulle labbra dei suoi attori, ci si lascia trasportare dalla potenza delle immagini lasciando che sia il bardo a parlarci ed il regista ad intrattenerci. C'è Kurzel dietro delle immagini di battaglia pregne di toni freddi all'inizio e toni caldi alla fine, insanguinate, polverose e muscolari - avvolte da una scozia che è sempre lì, tra le nebbie, un caldo abbraccio di una madre che impassibile assiste alla distruzione dei suoi figli e ne raccoglie il sangue, le lacrime e la pioggia. C'è William Shakespeare nei sussurri di Lady Macbeth e nelle grida di un folle Macbeth la cui ragione si perde tra le sue paure. C'è Marion Cotillard in un paio di occhi azzurri annacquati che pronunciano quell'out, damn spot in una follia pietrificata, fatta solo di occhi e di fremiti. C'è Michael Fassbender nelle visioni che lo lasciano vagante e perduto in una sala adibita ai festeggiamenti, che tanto ha combattuto per avere e che ora gronda solo morte e pazzia. Ma soprattutto, per tutto il film ed a collegare testo, visione registica, personaggi ed attori, c'è una carnalità fatta di campi di battaglia e di corpi che si cercano con passione, con fraterno affetto, con filiale amore. Sono quei corpi a collegare il tutto, ad immergerci nel testo e a regalare al regista le migliori occasioni per lasciare che la sua visione accompagni il testo senza mai soffocarlo, equilibrando il tutto con un'eleganza che, vista la complessità dell'opera, sarebbe stata difficile da portare a casa per chiunque.

I dare do all that may become a man; who dares do more, is none.

Justin Kurzel riesce a creare il suo immaginario e la sua visione, poco importa che sia vicina o lontana a quelle che l'hanno preceduto: è la sua e si sente, così come è evidente il rispetto per il testo teatrale e per l'opera, da cui si esce solo in pochissimi passaggi. La vera magia però la fanno Marion Cotillard e Michael Fassbender nelle scene corali: insieme colpiscono, creano una tensione corporea, drammatica e a tratti erotica che trapassa lo schermo ed arriva direttamente allo spettatore, immerso nei loro sguardi talmente veri ed intimi da restituire uno strano voyeurismo quasi colpevole per chi guarda, che per un attimo si sente un intruso in quel meccanismo a due così intimo, drammatico, folle e potente. Lasciati da soli, esattamente come i due personaggi, si perdono un po' in una solitudine priva di forza per lei ed in un'eccessivo pathos per lui, dettagli che tuttavia non rovinano l'esperienza complessiva ma anzi, nel caso della Cotillard, regalano un nuovo punto di vista ad un personaggio difficile da portare sullo schermo, probabilmente più di quanto non lo sia lo stesso Macbeth. Il climax finale riesce a chiudere il tutto con una grande eleganza, che si fregia di un cromatismo spinto che crea un cerchio unico con la prima scena, in un estetismo che avvolge l'intero dramma e riesce, in quel modo, ad avvolgere anche lo spettatore. C'è una battaglia da combattere, anche per Justin Kurzel, e alla fine dopo tutto quel sangue, quei combattimenti, quella follia e quei corpi distrutti quella battaglia è vinta nonostante tutto.

Macbeth Caricandosi sulle spalle un lavoro complicato per chiunque, con una grandissima storia ed una ancora più grande eredità cinematografica, Justin Kurzel riesce miracolosamente a creare un'armonia ed una potenza estetica che accompagnano la pellicola, fregiandosi di un'ottimo passo a due di Marion Cotillard e Michael Fassbender straordinari nei momenti in cui appaiono insieme sullo schermo. Una trasposizione fedele al testo, di cui è estremamente rispettosa, che potrà non piacere a tutti per l'intrinseco stile e ritmo di narrazione ma che restituisce comunque un'interessante idea di cinema e che vale assolutamente una visione.

7.5

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