Recensione Listen Up Philip

Jason Schwartzman interpreta uno scrittore di successo in una New York a metà tra Woody Allen e Philip Roth

Recensione Listen Up Philip
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Siamo depressi perché ascoltiamo pop music o ascoltiamo pop music perché siamo depressi? Parafrasando questa celebre battuta di Alta fedeltà possiamo adattarla al meglio alla pellicola di Alex Ross Perry: uno scrittore ha successo perché triste e depresso o lo è perché ha successo? Di cosa abbiamo bisogno per scrivere il grande romanzo americano? Philip, il protagonista di questa pellicola presentata in concorso al Festival del Cinema di Locarno, si impone come l'archetipo dello scrittore contemporaneo a metà strada tra Philip Roth e Chuck Palahniuk. Uno scrittore è in attesa della pubblicazione del suo secondo romanzo, un sicuro successo. La calca e il rumore, la relazione vacillante con la sua ragazza fotografa Ashley, del cui successo è da sempre invidioso, e la sua indifferenza nei confronti della promozione del libro lo spingono però ad allontanarsi dalla sua città di elezione. Quando Ike Zimmerman, famoso autore idolatrato di Philip, gli offre rifugio nella sua isolata residenza estiva, lo scrittore trova finalmente la tranquillità necessaria per concentrarsi sul suo soggetto favorito: se stesso. Il percorso non sarà dei più semplici.

Ascoltami bene Philip

Jason Schwartzman ritorna ad interpretare, per ben la terza volta, il personaggio di uno scrittore (lo fece due volte per Wes Anderson, regista che scoprì questo giovane talento a soli diciotto anni con il suo Rushmore) ma questa volta l'approccio è completamente diverso. Dove i primi due erano scrittori loro malgrado, che si scontravano continuamente con la loro autorialità, qui Philip è consapevole del suo successo e del suo talento. Ma come continuare a scrivere quando non si trova mai il tempo, rinchiuso in un appartamento nel centro di una New York aggressiva e opprimente? Ovviamente andando a vivere nella casa di campagna di uno scrittore ancora più famoso e cinico del nostro. Il loro incontro diventa così un surreale rapporto maestro/allievo dove Ike insegnerà a Philip come riuscire a far convivere successo e cinismo. E seppure si senta una malinconia di fondo verso tutte le relazioni distrutte e le persone perse a causa del personaggio che Ike si è dovuto creare, Philip comprende subito come quella sia la sua strada. Un percorso non umanamente condivisibile ma che moralmente rimane quello giusto per il giovane scrittore.

Tra cinema e letteratura

Alex Ross Perry giunto al suo terzo lungometraggio presenta un'opera matura capace di colpire il pubblico con alcune trovate estremamente interessanti. Da un lato, Listen Up Philip non nasconde mai la sua identità letteraria e anzi la rende più che mai esplicita grazie ad un narratore che minuto dopo minuto ci racconta chi siano i vari personaggi che incontriamo e quali siano i rapporti tra di loro, un espediente che permette di scrivere dei dialoghi molto più ancorati nella realtà proprio perché evita di farli spiegare dalla bocca dei protagonisti. Una sceneggiatura che potrebbe essere letta come un vero e proprio romanzo e che probabilmente sarebbe molto simile a quelli che potrebbe scrivere il protagonista Philip. Al contempo si riesce a dosare al meglio la componente cinematografica con un lavoro molto intenso sulle riprese gestite con una camera a mano che si muove intorno ai protagonisti scrutandoli ora con primi piani intensi ora con distanti inquadrature.

Listen Up Philip Con sottili tocchi che ricordano il miglior Woody Allen newyorkese, Alex Ross Perry (soli trent'anni e già tre pellicole all'attivo) riesce a dipingere una storia profondamente ancorata alle radici letterarie della città di New York. Forse il protagonista del film potrà non risultarci simpatico o generare una forte empatia, ma il film riesce a colpire per immediatezza e freschezza di lavorazione. Un'opera che conferma il talento di un giovane regista.

7

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