Recensione Lezione21

Il visionario e beethoviano esordio di Baricco.

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I racconti s'intrecciano

L'ex-studentessa Martha (Leonor Watling) intende recuperare la ventunesima lezione del professore universitario Killroy (John Hurt) quale aveva inteso disarmare 21 opere d'arte unanimamente osannate, investigando le genesi delle stesse, gli aneddoti rivelatori, le biografie degli artisti...tra queste l'ultima lezione, incompiuta, riguarda la Nona Sinfonia di Beethoven.La volitiva ex-studentessa quindi si immerge nel mondo immiserito del professore ora pitocco per concludere la coinvolgente lezione.Hans Peters (Noah Taylor) indefesso violinista che celebra la sua arte sui campi innevati, viene intervistato circa la Nona...concluderà la sua parabola nel ghiaccio, suonando imperituro il suo violino, sino a venirne seppellito insieme.Due grotteschi personaggi contemporanei di Beethoven discettano sull'accoglienza che la Sinfonia ricevette in quel 7 Maggio 1824, sancendo l'annoiata reticenza del pubblico.In ultimo si concluderà, in un diruto locale, la tanto ricercata ventunesima lezione che rivelerà la scarsità della detta opera, chiosando sui temi della bellezza perduta, dell'invadente vecchiezza, della mancata leggerezza.

La fantasia al potere!

E' l'intreccio di queste quattro storie che costituisce l'esordio alla regia di Alessandro Baricco, già latamente noto come scrittore, in questa sua opera prima dal taglio anti-narrativo e dall'importante capacità visiva. Il tratto somatico che segna il corpo del film è la visione squadernata del regista che ha mandato a memoria tutti i grandi visionari (dal più casanoviano Fellini, a Bergman) e li ha rielaborati con la sua autorevolezza, esordiente si, ma assai abile nel gestire macchina, colori, ambienti. La superfetazione barocca straborda, riempie gli occhi e porta quasi ad una indigestione visiva.Baricco ci soverchia in un onirico mitologema di situazioni, tra gli interstizi di vari capannelli di personaggi carichi di storie, nell'illogicità e nella variegatura del suo cinema che vorrebbe, ed è qui la prima caduta che alla lunga diverrà una vera valanga, inerire letteratura, teatro e cinema.La prima con possenti dialoghi gongoristi di una certa tradizione settecentisticamente teatrale (talvolta cinematografica) che però non vale il capolavoro, Baricco è buon retore, ma senza il limite del giusto decoro. La matrice letteraria la si sente nel momento in cui il lavoro viene trainato da una polifonia di narratori che fanno della pellicola un'opera da inseguire. La storia si innerva su più livelli narrativi che abbattono tutti i muri della ricostruzione in una fusione affascinante tra presente e passato, non solo questo ma anche i registri linguistici mutano e stupiscono, Baricco, da scrittore quale è, spampina tutto il suo retaggio e ci coinvolge con parlate basse e poi più alte, in una vera e propria orchestrazione meta-linguistica che trova il suo collante nella musica, una musica che si vede, sino ad arrivare al pinnacolo ultimo dell'assolo di violino che è il codice più feralmente imperscrutabile della rievocazione.Il film è molto compiaciuto, e la valanga di cui sopra, si forma quando Baricco non riesce a frenare la troppa roba che vuole fare, mostrare, dire. Un cinema di ricerca, come si diceva tempo fa, che carica con l'arte e con costanti rimandi culturali (da Joyce a Rossini, dalla storia ottocentesca a Paganini, da Botticelli a Warhol e così via) la forte emotività che il regista intende assommare insieme al paradosso demistificatorio dell'impresa che, in ogni caso, rimane una grande opera culturale. Baricco spiega la musica classica, investiga gli strani giri di vite della cultura ottocentesca fissandosi sul tema della senilità che appare "semanticamente" dominante nelle scene.E così col libero gusto di abbandonarsi all'immaginazione ed alla fantasia, come testimoniano i velieri sui monti trentini, i costumi, i locali londinesi e le scene mantovane, il film si libra su sfondi storici ed immensità geniali ove il grande assente, Beethoven, si vede solo di spalle per pochi fotogrammi, come un certo clichè vuole.Questa lezione è un'esibizione culturale che talvolta rischia di perdersi in sè stessa, è questa la mancanza che impedisce di fare del film un piccolo capolavoro del cinema europeo, poichè è evidente di come la produzione si sia preoccupata di puntare su un pubblico continentale negligendo quello segnatamente italiano, basti vedere la nazionalità degli attori e la recitazione tutta inglese, ma questa urgenza europea è cosa buona, peccato per l'incompletezza, per la presunzione, per i troppi malvezzi ego-registici, per la troppa fatica, per il troppo acrobatico montaggio.Il tutto inderogabilmente arricchito dalle sfumatissime prestazioni degli attori, perfetti nell'acclimatazione baricchiana, capaci d'essere affascinanti in un'analisi sulla bellezza, nel rimettersi alle bizze di uno sguardo visionario e prezioso, in una tanto problematica quanto fiabesca schiera di ammiccamenti, voli pindarici ed innocente ironia.

Un capolavoro mancato.

Quindi l'operazione del neo-regista riesce nell'intento di capovolgere l'arte per restituirla più grande di prima. La spettacolirizzazione della immaginifica scena induce a pensare comunque che Baricco abbia capito moltissimo del cinema, abbia inteso come debba essere un intrattenimento dell'occhio e che tramite questo si possa tentare di arrivare in qualche oasi culturale, che quantomeno sensibilizzi il fruitore. La leziosità è evidente fra le righe, ma come detto, siamo di fronte ad una buona operazione culturale, non al capolavoro.

Lezione21 Musica che nasce dal trepiccare dei cavalli, dai fuochi artificiali, dal canto di un uccello. Musicisti che spariscono e velieri che irrompono tra nivei monti, cattedre e violini per un esercizio di cultura e fantasia che fonde arte con vita, passato con presente.

7

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