Recensione Leprechaun: Origins

Ecco arrivare un inatteso reboot per la saga horror sul folletto irlandese

Recensione Leprechaun: Origins
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La prima volta che abbiamo avuto modo di vederlo in azione fu nel 1993 all'interno della abitazione di campagna di Leprechaun di Mark Jones , impegnato a tormentare, tra gli altri, una esordiente Jennifer Aniston e soltanto con un anno d'anticipo rispetto a Leprechaun 2 di Rodman Flender, nel quale tentò in ogni modo di fare sua la donna promessagli in sposa secoli addietro.
Poi, sotto la regia del Brian Trenchard-Smith autore de Il mistero del lago scuro, ha fatto nel 1995 una capatina nella Las Vegas di Leprechaun 3 e, due anni dopo, ha provveduto ad imitare i massacri del più illustre collega di Alien in Leprechaun 4 - Nello spazio.
Tra il 2000 e il 2003, infine, vi è stato il duplice tuffo in mezzo a musica rap e "musi neri" rappresentato da Leprechaun 5 di Rob Spera e da Leprechaun 6 - Ritorno nel ghetto di Steven Ayromlooi, che sembravano aver segnato la fine della parabola cinematografica del folletto irlandese chiamato leprecano o lepricauno riletta in chiave horror.
Parabola che ha visto Warwick"Willow"Davis nei panni dell'ammazza-gente in miniatura fortemente geloso del proprio oro e caratterizzato da grottesca parlata in rima e che, giunta nel nostro paese direttamente nel mercato dell'home video, ad undici anni di distanza pare essere destinata a resuscitare tramite Leprechaun: Origins di Zach Lipovsky, effettista già passato dietro la camera per diverse produzioni legate al piccolo schermo.

C'era una volta il folletto...

Novanta minuti di visione il cui titolo lascerebbe tranquillamente pensare ad un prequel della saga, ma che, a conti fatti, finiscono per rispecchiarne i connotati di un vero e proprio reboot.
Interpretata dal wrestler nano Dylan Postl (ricordiamo che la pellicola è prodotta da WWE Studios), infatti, la creatura - difficilmente mostrata nella sua totale fisicità - non presenta più le fattezze dello gnomo dal cilindro sulla testa e con battuta facile pronta ad uscirle di bocca, bensì quelle di un essere ringhiante che appare quasi come un incrocio tra il demone della serie Pumpkinhead e il Lord Voldemort dei vari Harry Potter.
Quindi, complici anche le cupissime atmosfere darkeggianti dispensate dalla fotografia di Mahlon Todd Williams, su sceneggiatura dell'esordiente Harris Wilkinson è evidente che stavolta si sia deciso di fare del tutto a meno dell'ironia nel raccontare della vacanza in Irlanda intrapresa da quattro giovani che scelgono di andare in un villaggio nei pressi di antiche rovine celtiche.
Quattro giovani con i volti della Stephanie Bennett di ESP² - Fenomeni paranormali, del televisivo Andrew Dunbar, della Melissa Roxburgh di Diario di una schiappa 2 e di Brendan"Freddy vs Jason"Fletcher, i quali, gentilmente accolti dagli abitanti del posto, non immaginano che il loro intento sia, in realtà, quello di offrirli in sacrificio al mostro.
E l'insieme, oltretutto infarcito di soggettive alla Predator, di conseguenza non assume altro che il sapore di uno slasher costruito nel più classico dei modi, con una prima parte basata in maniera principale sull'attesa ed una seconda, ovviamente, riservata alla mattanza ed alla lunga fuga dal pericoloso essere.
Niente di particolarmente esaltante, se non un b-movie da serata estiva tra amici confezionato con discreta professionalità e comprendente una accettata in pieno volto ed un piercing strappato via dalla lingua.

Leprechaun: Origins La popolare saga horror Leprechaun, iniziata da Mark Jones per mezzo dell’omonimo lungometraggio datato 1993, ricomincia da capo con questo reboot che, firmato dall’effettista Zach Lipovsky, trasforma colui che abbiamo imparato a conoscere come sorta di Freddy Krueger in miniatura dalla battuta facile e dalla parlata in rima in una inquietante creatura che si muove nell’oscurità dell’Irlanda per scagliarsi su quattro giovani in vacanza, ignari di essergli stati offerti in sacrificio. Il risultato è un discreto slasher soprannaturale che si lascia guardare prendendo dalla saga di partenza soltanto il titolo e la popolare leggenda folkloristica su cui si era basata... senza generare entusiasmi e senza regalare nulla di nuovo al genere.

6

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