Recensione Leoni per agnelli

Bella prova di tre grandi attori in un coraggioso film di denuncia

Recensione Leoni per agnelli
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Introduzione

Nella prima guerra mondiale i tedeschi ammiravano il coraggio dei soldati inglesi. Dicevano che erano dei leoni. Ma erano comandati da gente che della guerra non capiva nulla. Agnelli. Leoni comandati da agnelli. Questa la metafora che fa da sottofondo ad una delle più attese ed efficaci riflessioni sull’America e sulla guerra in medio oriente e nei paesi islamici, che parla a più generazioni di valori civili e politici, e della necessità che questi vengano testimoniati avendo ben presente il senso della realtà, politica e sociale, del proprio Paese.

Le storie

In uno sviluppo imperniato su tre vicende che accadono in contemporanea, e che la narrazione alterna: vediamo il Professore universitario Stephen Malley (Robert Redford) che convoca un allievo, Todd Hayes (Andrew Garfield), apparentemente perché non frequenta più le lezioni di scienze politiche; il Senatore Jasper Irving (Tom Cruise), convoca invece nel suo studio la giornalista Janine Roth (Meryl Streep) per ottenerne il supporto su una nuova strategia che la Casa Bianca sta per adottare in Afghanistan, in cambio di un’intervista esclusiva; il Ten.Col. Falco (Peter Berg) convoca infine una squadra d’assalto per dare l’avvio alle operazioni in Afghanistan, dove ci vengono presentati anche il Ten. Finch (Derek Luke) ed il soldato Ernest Rodriguez (Michael Pena), che nel briefing dimostrano subito di avere una conoscenza politica e militare superiore alla norma. Nell’azione, che prevede l’occupazione di un’altura con l’utilizzo di mezzi di aviotrasporto, la squadra cade in un’imboscata, e Rodriguez precipita dall’elicottero: Finch si getta dal mezzo per soccorrerlo, ed i due rimangono così abbandonati al suolo, alla mercè degli appartenenti ad Al Qaeda, che tenteranno di farli prigionieri.
Scopriremo poi che Finch e Rodriguez erano due allievi del Prof.Malley, che avevano scelto di entrare nell’esercito per avere la conoscenza di ciò che accade realmente in guerra, per poi metterla a frutto una volta congedati, oltre a potersi permettere così di onorare i debiti contratti per le spese universitarie (nel sistema americano l’Università costa cara, "30.000 dollari l’anno" ci informa Redford).
Scopriremo anche che la Roth aveva salutato l’inizio della carriera di Irving come l’avvento di un nuovo Kennedy.
Il film prosegue alternando le tre situazioni: il confronto fra il senatore e la giornalista, che tocca temi come la guerra nel Vietnam, il rapporto fra stampa e politica (il giornale su cui scrive la Roth fu acquistato da una compagnia vicina al partito dominante, col risultato di "annacquare" le velleità critiche del foglio), più in generale, gli errori del passato; quello tra il professore ed il brillante allievo demotivato, che coinvolge i temi della passione giovanile, della costruzione del futuro, della necessità dell’impegno politico e sociale; la drammatica storia, infine, della disperata lotta per la sopravvivenza dei due militari accerchiati dai terroristi.
Il finale, tagliato con l’accetta, pone un interrogativo ad ognuno di noi, che lascia volutamente senza risposta.
Sorprende l’impressione all’uscita dalla sala (non accade spesso di questi tempi) che Leoni per Agnelli sia durato troppo poco: in realtà sono passati un’ora e ventotto minuti, e l’effetto è probabilmente da attribuire al coinvolgimento che la pellicola riesce a suscitare, anche se siamo su un piano squisitamente soggettivo.

Il senso di Lions for Lambs

Più che la regia dell’ottimo Redford, colpisce subito la sceneggiatura di Matthew Michael Carnahan, che aveva esordito proprio nel 2007 firmando lo script di The Kingdom in cui, sebbene la parte dedicata all’azione aveva finito col prendere il sopravvento, aveva già tracciato con mano ferma i contorni di una politica nemica dei cittadini, tutta dedita ad interessi che poco avevano a che vedere con l’attenzione ai problemi dei propri amministrati.
Il film è fondato sui dialoghi (a tratti sembra una pièce teatrale), si sviluppa coralmente nell’arco di una giornata, è un’opera di riflessione, che mira a scuotere le coscienze, che denuncia ognuno di noi nel momento in cui rifiutiamo di occuparci del futuro del nostro Paese e lasciamo il campo libero ai politici di mestiere (non di professione...) perché sentiamo profondo disgusto per tutto ciò che rappresentano (chissà se Carnahan ha letto La Casta), consegnandoci di fatto senza condizioni al loro volere ed al sistema che essi costruiscono, legittimandoli in questo modo ai disastri che inevitabilmente provocano.
La guerra in Iraq viene combattuta, dice il film neppure tanto sottilmente, non da un esercito di coscritti, come in Vietnam, ma da volontari, che vengono dalle classi più povere, costretti alla leva dalle necessità economiche, diretti da incompetenti che hanno come mira il potere (viene in mente l’immagine di Michael Moore che, all’ingresso del Senato, chiede ai politici se i loro figli sono a combattere in Iraq). Il sistema compra la complicità dei network televisivi, ridotti ormai a vuota cassa di risonanza del pensiero della casta dominante, e la coscienza critica nella gente è assopita, intorpidita, in deliquio. Ne sono vittime anche i giovani di talento ed in possesso di idealità, quelli che avrebbero le capacità per entrare nella stanza dei bottoni, ma che preferiscono dedicarsi ad interessi più prosaici (e l’immagine di Socrate che passeggia per Atene con la futura classe dirigente, intento a preparare gli allievi alle responsabilità del potere, è un collegamento evocato in maniera naturale dal ruolo del Professor Malley e dal suo tentativo di scuotere il suo pupillo). Abbiamo tutti delle responsabilità in quanto accade, ma è ancora possibile fare qualcosa, rispondere, impegnarsi, scegliendo il risveglio della coscienza (come non citare a questo punto la pillola del "risveglio" di Matrix, metafora senza dubbio più disimpegnata, onirica e fumettosa, ma non meno carica di significato). Ed il primo obiettivo di questo appello sono i giovani, da cui proverranno i governanti del futuro.
Non c’è contrapposizione tra buoni e cattivi in Lions for Lambs, ma semmai una ricerca di responsabilità, demeriti, colpe che non esclude nessuno, un’analisi sugli ideali e sulla loro affermazione od il loro tradimento: nessuno dei personaggi può reclamare la palma dell’eroe senza macchia e senza paura. C’è però, in bella evidenza, l’intento di risollevare la società americana dal suo evidente declino, di dare ossigeno alla democrazia, di restituire alla politica il suo significato originario, quello del periodo classico, senza isterismi od estremizzazioni ma con onesto, solido, determinato senso del vivere civile.
E’ un copione coraggioso, come solo il cinema americano riesce a trovare la forza di realizzare.

Regista, Cast & Crew

Robert Redford sostiene la sceneggiatura con una regia sobria, che non tende a spettacolarizzare, tutta giocata su campo e controcampo, e sui primi piani degli interpreti, che rendono credibile ed efficace il contesto della narrazione. E’ altmaniano nei tempi e negli inserimenti, nelle scansioni e nelle cadenze delle storie che si intrecciano, e mostra di non aver dimenticato quel Tutti gli Uomini del Presidente che lo vide protagonista al fianco di Dustin Hoffman. Sul piano recitativo la sua interpretazione si rifà ai toni pacati e riflessivi che aveva già mostrato in Spy Game e ne L’Uomo che Sussurrava ai Cavalli, ma soprattutto ne Il Vento del Perdono di Lasse Hallstrom, in un ruolo maieutico che pare "sentire" in maniera particolare.
Tom Cruise si conferma attore di talento (qui produce, anche) nel disegnare il cinico politico rampante, figura inquietante sotto la patina di charme Washingtoniano, vero villain di Leoni per Agnelli. La Streep dona al suo personaggio, la anziana giornalista liberal, un diadema di introspezioni, tic ed ammiccamenti, regalandole e regalandoci la visiva rappresentazione di conflitti interiori e sensi di colpa di ordine morale, rendendo credibile una scelta, come quella compiuta nel finale, difficile da far passare come non forzata od al contrario banale e scontata.
Peter Berg continua il suo conflitto con il mondo islamico (aveva diretto The Kingdom) qui al comando delle operazioni in territorio afghano. Michael Pena e Derek Luke, i due soldati al fronte, se la cavano con dignità, mentre una menzione a parte la merita il giovane Andrew Garfield, nato in California ma cresciuto nel britannico Surrey, che viene dal teatro ed ha fatto incetta di riconoscimenti nella terra di Albione.
La musica di Mark Isham accompagna adeguatamente senza nascondersi, ma non porta valore aggiunto al film, a differenza della fotografia di Philippe Rousselot (Il Sarto di Panama, Big Fish, Constantine), che valorizza primi piani ed interni. Il montaggio di Joe Hutshing (Quasi Famosi, Vanilla Sky, L’Amore non Va in Vacanza) si dimostra vincente in un film che non può contare sull’azione per tenere desto l’interesse.

Leoni per agnelli Un film coraggioso, che parla alle coscienze, che appassiona nella sua richiesta di coerenza, di coraggio civico. Una grande prova di tre fantastici interpreti. Un'opera che con ogni probabilità, da noi, nessuno avrebbe la forza di fare. Da vedere.

8.5

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