Recensione Le regole della truffa

Due gang di rapinatori alle prese con la stessa banca dai mille misteri

Recensione Le regole della truffa
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Va detto sin da subito: presentato all'ultimo Sundance Film Festival, Le regole della truffa (in originale Flypaper, ovvero la carta moschicida che i protagonisti finiranno per rappresentare) non ha nulla a che vedere con il vademecum/‘galateo' del signor ladro o con le norme da rispettare per il buon esito di una rapina. Tutt'altro. Banche, caveau, soldi e truffe infatti non sono altro che il contesto o l'escamotage per mettere a confronto e far interagire due gang di ladri agli antipodi e un variegato manipolo di inconsueti ostaggi capeggiato dal Patrick Dempsey (qui anche in veste di produttore) assurto al successo come sex symbol della serie tv Grey's Anatomy. Il risultato è una black comedy per certi versi sofisticata e originale che spiazza più che altro per la capacità di rivelarsi tutt'altra cosa dalle pre(o)messe. Ma entriamo un attimo nel cuore delle dinamiche di questa rapsodica ‘avventura criminale'.

Nel bel mezzo di un aggiornamento informatico del sistema di sicurezza, la febbrile ma ordinata e rituale attività bancaria viene interrotta di colpo: una banca superblindata diventa così il bersaglio prescelto da due bande di rapinatori per un colpaccio dal potenziale estremamente fruttuoso. I primi, soprannominati burro e marmellata per la loro ‘stoica' inseparabilità, sono una coppia di sprovveduti e maldestri ladruncoli dell'ultim'ora, a digiuno anche delle più basilari norme di criminalità, la cui incapacità ladronesca è avvalorata dalla posizione numero 674 nel ranking dei ladri professionisti. I secondi, sono invece tre rapinatori professionisti e senza scrupolo guidati da un geniale hacker capace di insinuarsi con spavalda nonchalance nei meandri di qualsiasi sistema di sicurezza. Ritrovatesi (per caso?) simultaneamente nella stessa banca e con la medesima volontà di mettere a segno il colpo, le due bande dovranno fare i conti tra loro e con il gruppetto di persone presenti all'interno dell'istituto finanziario nel fatidico momento del doppio colpo. Una scena più che classica che prenderà ben presto una inconsueta piega viste le particolarità comportamentali degli ostaggi e la magnetica e nevrotica presenza di Tripp (il già citato Patrick Dempsey nei panni di un moderno Rain-man), casuale avventore bancario fobico e con un'autistica capacità di elaborazione dati e immagini che ben presto, degno erede del migliore Poirot, prenderà in mano le redini di quello che appare sempre più come un sofisticato giallo in stile Dieci piccoli indiani, per insinuare dubbi sulla realtà della situazione e svelare ciò che infine ognuno dei protagonisti (inclusi i ladri professionisti e non) sembra ignorare: il motivo per cui si trovano tutti insieme dentro quella banca.


Questa non è una rapina

Quella che si va dunque delineando con il passare dei minuti è una scena ben diversa da quella di una consueta rapina, una scena che sembra assumere legami sempre più stretti con un classico giallo da camera chiusa, in cui l'apparato narrativo di tensione dovrebbe tendere verso l'auspicabile risoluzione dell'enigma. Dovrebbe. Il condizionale è d'obbligo, visto che l'idea, seppur interessante e affidata, in fase di stesura, agli stessi celebrati sceneggiatori di Una notte da leoni (Jon Lucas e Scott Moore), sembra in generale piuttosto priva di mordente. Il passaggio dal piano narrativo d'azione (la presunta rapina) che lascia il passo al piano narrativo psicologico-esistenziale (una dozzina di protagonisti impegnati a studiarsi fra di loro), con un gran numero di scene a due in stile molto teatrale, non è supportato da un linguaggio altrettanto incisivo capace di accrescere anziché sminuire la tensione ricercata.

Un colpo non a segno

È come se la transizione dal genere che lo spettatore si aspetta verso il film che di fatto si ritrova davanti, sia oltre che spaesante poco efficace a spingere l'acceleratore sulla sorpresa e sull'originalità. Gran parte di questo risultato è attribuibile a dialoghi spesso troppo banali e decontestualizzati (ad esempio un lungo scambio tra un ladro professionista e i due semi-idioti della gang rivale che verte sui tatuaggi di questi ultimi e sul loro essere controproducenti ai fini di una rapina) che a lungo andare risultano noiosi e fuori luogo, annacquando non poco la suspense narrativa. Tutto ciò anche a scapito della pur buona prova degli attori, a partire da un generoso Patrick Dempsey che (con l'aggravante nel doppiaggio italiano di una voce non proprio calzante) si spende fino all'ultimo in questa sua nuova veste comica risultando piuttosto a suo agio nel ruolo, passando per la delicata ma incisiva interpretazione di Ashley Judd nei panni di Kaitlin, fino alle buone prove dei comprimari, tutti generalmente bravi nel rappresentare turbe e psicosi dell'animo umano in una situazione di coatta convivenza. A spezzare la monotonia del racconto intervengono poi le ricostruzioni in flash back di Tripp, personaggio attorno al quale si va infine addensando tutto il nerbo della storia (inclusi gli ostinati tentativi di ‘avvicinare' Kaitlin e risolvere il ‘caso') e grazie al quale si scioglieranno infine i nodi della stessa nell'inaspettato finale. A conti fatti ciò non basta a rimpolpare il tessuto di una storia che, nonostante la durata contenuta (solo 87 minuti), pare non possedere il carattere necessario a mantenere l'attenzione dello spettatore costante da inizio a fine pellicola, nonché di generare quel giusto mix di palpitante sorpresa e sonore risate che avremmo invece apprezzato.

Flypaper Lascia un po’ di amaro in bocca il melange criminoso-esistenziale con sottofondo da black comedy di Le regole della truffa, pellicola che annunciatasi come un nuovo, originale capitolo sul tema ‘estrose rapine in banca’ si rivela infine un miscuglio di generi con qualche trovata divertente, ma generalmente insapore e incapace di mantenere alta la tensione. Questo soprattutto per via di un uso inconsistente dei dialoghi, vero elemento chiave di un genere come l’enigma da camera chiusa, in cui la 'finitezza' degli spazi, va necessariamente sostenuta dalla profondità dei dialoghi. E l’atmosfera di claustrofobica inquietudine di Dieci piccoli indiani, così come la vena decisamente comica di Una notte da leoni, sono ahinoi entrambe ben lontane.

5

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