Recensione Last Summer

Rinko Kikuchi protagonista di un intenso dramma sul rapporto madre-figlio

Recensione Last Summer
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Naomi (Rinko Kikuchi) è una bella, giovane donna, elegante e raffinata, che in Last Summer arriva sullo yacht dell'ormai ex marito per usufruire dell'ultima opportunità offertale di incontrare il suo piccolo primogenito, Kenzaburo (Ken Brady), di sei anni, del quale ha perso l'affidamento. Guardata a vista dall'equipaggio, che la squadra con sospetto date le dicerie che la famiglia dell'ex marito diffonde su di lei, Naomi incontra parecchie difficoltà ad avvicinarsi al figlio, non più abituato alla sua presenza e vittima anch'egli del pregiudizio. Nonostante tutto, con pazienza e spirito di sacrificio, la donna si imbarca nella delicata impresa di far breccia nel cuore del piccolo... e magari trovare un pizzico di umana comprensione nella crew della nave. Ma non sarà per niente facile trovare le parole adatte, in inglese o in giapponese che siano. Dei quattro componenti dell'equipaggio, difatti, solo il capitano (Yorick van Wageningen) sembra interessato a scoprire la verità sul passato e le intenzioni della signora.

Quell'ultima estate con Kenzaburo

“Quattordici anni fa, una donna, seduta sul divano di casa dei miei genitori, non riusciva a trattenere le lacrime. Era venuta a cena insieme a degli amici di mia madre. Era una sconosciuta che piangeva apertamente davanti a degli estranei. Rimasi a guardarla dal bordo della stanza. Raccontava che suo marito le stava portando via i figli. Questo ricordo, rimosso per molti anni, è poi riapparso fino a svilupparsi e trasformarsi nel soggetto di Last Summer. Volevo indagare la possibilità dell’inizio di un rapporto nella sua fine, il travaglio di un riavvicinamento."
Queste le parole con cui Leonardo Guerra Seràgnoli presenta al pubblico e alla critica il suo primo lungometraggio, Last Summer. Il cineasta romano (e londinese d'adozione) sceglie di allontanarsi da gran parte del cinema italiano contemporaneo per dedicarsi ad una storia introspettiva e ostica, in cui il vero valore delle “unità di misura” si palesa quando si fanno i conti con le asperità della vita. E allora quattro giorni o dieci anni assumono tutto un altro significato, così come pochi centimetri tra una persona e un'altra possono voler dire molto. Non è un film semplice, per tutti, dato che la lentezza della narrazione e i “banali” eventi quotidiani possono rendere tediosa la visione a chi non è propenso a questo genere di storie. Eppure nella banalità si formano, spesso, i ricordi più belli (ma anche quelli più dolorosi) legati alla famiglia.

Tra le righe

La banalità di una telefonata, di un pasto, di un bagno a mare o di una passeggiata possono essere fondamentali, viste come l'ultima occasione di lasciare un segno nella crescita della propria prole. Naomi se ne rende conto e, se da un lato ha grosse difficoltà ad accettare la situazione che è costretta ad affrontare, dall'altro è determinata a far fruttare il poco tempo a disposizione per imprimere il proprio ricordo nel figlio e donargli uno o due 'pensieri speciali' con cui crescere, in attesa di un loro possibile reincontro una volta che sarà divenuto maggiorenne. Più che ai dialoghi (decisamente -volutamente?- non memorabili) Seràgnoli si affida al non detto, agli sguardi, agli atteggiamenti dei suoi bravi interpreti, cosicché il pubblico più attento possa andare in profondità al di là di ogni barriera linguistica. Del resto, i due protagonisti della vicenda sono bilingue e l'utilizzo di un idioma piuttosto che di un altro è strategico più che semantico, dato da non sottovalutare.

Last Summer La dura storia di un addio forzato, con la promessa di un futuro migliore. Il difficile reincontro di una madre e di un figlio, con tutte le conseguenze del caso. Last Summer, debutto di Leonardo Guerra Seràgnoli nel lungometraggio non lascia indifferenti, anche e soprattutto per l'approccio tipicamente estremo orientale all'introspezione e alla narrazione per immagini, dove conta più il visto e il non detto che la bella linea di dialogo. In questo è aiutato da un ottimo cast: la Kikuchi, dismessi i panni dell'eroina di Pacific Rim, è un'intensa madre in difficoltà che prende le redini della sua vita per il bene del figlio, mentre il resto del cast lavora in sottrazione dimostrando efficacemente gli intenti del regista. Nota di merito, infine, per il piccolo Ken Brady, adorabile e bravissimo. Un film non facile da digerire per chi non ama il genere, ma un esordio sicuramente da tenere in conto.

7

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