Recensione La vita di Adele

Viaggio travolgente nelle mille declinazioni del sentimento più bello e complesso della vita, l'amore

Recensione La vita di Adele
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Adèle (Adèle Exarchopoulos) ha diciassette anni, una vorace passione per il cibo e per la letteratura, e l'urgenza di aprirsi a quel mondo di emozioni e desideri spesso scorto tra le pagine dei suoi libri. La breve liaison con un ragazzo della sua scuola sarà però solo il preludio a una stagione amorosa intensa e illuminante che saprà guidarla per mano verso la presa di coscienza della totale interconnessione tra amore e dolore. Nel blu intenso dei capelli di una ragazza  di nome Emma (Léa Seydoux), conosciuta per caso in un locale gay e appassionata di Belle Arti e d'amore, Adèle troverà infatti la giusta tonalità per sfiorare l'estasi di un ricongiungimento al proprio io, emotivo e sessuale. Tra le sedute artistiche e gli avidi incontri carnali, la giovane donna compirà il suo passaggio da un'adolescenza arruffata a una maturità dolorosa e composta, portando infine a casa la lezione della Vita, mutuata dalla Marianna di Marivaux e presto mutata nella concretezza della Vie d'Adèle. Eppure, nell'incontro di due corpi splendidi e similmente vivaci, di due mondi uniti nella distanza, sarà rac(chiusa) per sempre la voce stentorea di un amore splendido, vissuto per un attimo d'eternità nella perfetta sincronia del corpo e della mente. L'attimo di una felicità da cui sarà difficile affrancarsi ma che segnerà (nel bene e nel male) una stagione di vita da custodire con gelosia, una di quelle che non sempre e non tutti hanno la fortuna o l'audacia di sperimentare.

E poi, d’improvviso, l’azzurro

Non c'è storia. La capacità del cinema francese di indagare il variegato spettro di colori del sentimento umano è per certi versi inarrivabile. Abdellatif Kechiche, tunisino di nascita e francese d'adozione, conferma con questo film la sensibilità (più unica che rara) con cui il cinema può e dovrebbe sempre guardare nei meandri dell'esistenza umana. Dopo un percorso di film molto apprezzati e in qualche misura anche controversi (La schivata, Cous Cous, Venere Nera) Kechiche rilegge qui al suo meglio l'iter di una parabola di vita che alterna senza sosta tenerezza e severità, occasioni e negazioni. Il blu, colore portante di un calore che pervaderà l'esistenza della protagonista, farà infatti da collante anche alla fase più blue (la tristezza, i fisiologici momenti di calo) di incomprensioni e contrasti che il rapporto tra Adele ed Emma (come ogni altro rapporto) dovrà subire. Dalla prossimità di corpi e sentimenti alla loro insormontabile distanza, Kechiche narra l'incanto e il disfacimento amoroso con la medesima passione, con una proiezione in soggettiva capace di marcare con travolgente realismo i sorrisi e le lacrime che in egual misura innaffieranno il rapporto tra le due ragazze. I lunghi piani sequenza delle scene di sesso (viscerali eppure mai morbose) e gli sguardi incantati sotto un sole raggiante, rappresentano perfettamente le due facce di uno stesso trasporto umano, a un tempo poetico e animalesco, artistico e ardente. Il regista tunisino confeziona un film di tre ore (a nessun film che non rientri nella categoria dei capolavori può essere accordata una tale prolissità) che incanta e travolge come gli attimi di magia della vita vera, fermando e catalizzando il tempo in un eterno presente cha lotta come magma incandescente tra nostalgiche immagini passate e dolenti proiezioni future. Per un attimo (di tre ore) tutti noi siamo trascinati nel vortice emotivo e passionale di Adèle, per un attimo anche noi siamo portati a lottare e disperarci pur di recuperare quell'istante di infinito che la vita ci aveva accordato. Il merito di questo magistrale risultato di vero e proprio ‘transfert filmico' è senza dubbio da ripartirsi in egual misura tra la straordinaria capacità del regista di far affiorare (attraverso l'intensità della storia e l'acutezza dell'occhio narrante) brandelli di vita reale, e la magnifica dose di vitalità, freschezza, amore, eros, disperazione che le due protagoniste riescono a rievocare nella consuetudine dei loro sguardi e dei loro gesti. Brava la Léa Seydoux già largamente apprezzata nel bellissimo Sister, ma assolutamente incontenibile la dirompenza visiva ed emotiva della giovanissima attrice d'origine greca Adèle Exarchopoulos, capace di condensare in unico sguardo passione e tragedia. Sono infatti proprio i suoi tic, il suo modo vorace e irruente di approcciarsi al mondo e i suoi capelli in perenne e disordinata fuga sul viso ad animare questo splendido film che in primis e in fondo si nutre appieno del suo corpo e della sua anima, prendendo formalmente anche a prestito il suo vero nome, Adèle. Senza dubbio meritevole della vittoria a Cannes, La vie d'Adèle di fatto descrive l'amore saffico trascendendone le ‘proprietà apparenti', universalizzando il sentimento e descrivendolo nella sua concentricità emotiva come solo i grandi capolavori sanno fare. Come era avvenuto a suo tempo con il Brokeback Mountain di Ang Lee, anche qui l'amore è tenero, verace, passionale, doloroso, ed è declinato in tutte le sue forme perché acquisti un respiro più ampio, eterno, e perché dentro di esso si agitino infine tutte le briciole di tanti amori 'inetichettabili', resistenti al di là dello spazio e del tempo, al di là del sesso o di ogni altra immaginabile connotazione formale. Chapeau!

La vita di Adele Al suo quinto film il regista tunisino di nascita e francese d’adozione Abdellatif Kechiche mette a segno un punto importante della sua carriera, aggiudicandosi la vittoria all’ultima edizione del festival di Cannes con un film letteralmente strabordante di emozione e sentimento. Kechiche riesce nell’obiettivo di ritrarre le luci e le ombre di un amore saffico che pur nel suo ardore e nel suo manifestarsi esplicitamente mantiene in primo piano la purezza e la poesia del legame. Alti e bassi di un amore come pochi che acquista invece a lungo andare la capacità di rappresentarne tanti, teneramente accolti sotto la sua ala universale. Lo sguardo del regista incontra e si fonde perfettamente con l’intensità e la veracità di due protagoniste perfette in ogni inquadratura e in magica sintonia tra loro. Ma le parole (in questi rari casi) sono incapaci di rendere appieno l’autenticità e la forza endemica di un’opera che senza dubbio scrive un’importante pagina nella storia del Cinema.

9

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