Recensione La sedia della felicità

La crisi raccontata a mo' di favola nell'ultimo film del compianto Carlo Mazzacurati

Recensione La sedia della felicità
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Un'avvenente estetista (Isabella Ragonese), un introverso tatuatore (Valerio Mastandrea) e un bizzarro prete ‘vittima' del videopoker (Giuseppe Battiston) si ritroveranno insieme a inseguire un misterioso tesoro nascosto in una delle sedie appartenute all'eccentrica Norma Pecche (interpretata da Katia Ricciarelli), facoltosa madre di un noto malvivente e da poco deceduta in carcere. La crisi e un senso di tragedia che aleggia attorno alle loro vite saranno dunque le ragioni che spingeranno queste tre esistenze (Bruna, Dino e Padre Weiner) similmente disperate e diversamente determinate a ‘svoltare', a rincorrere in lungo e in largo e fin sulle Alpi la speranza di un fantomatico tesoro. Destinate nel loro viaggio a imbattersi in una congerie di personaggi stravaganti (improbabili artisti, delinquenti patentati, impensabili erotomani, anziane veggenti), il viaggio dei tre protagonisti diventerà ben presto una vera e propria lotta per la sopravvivenza (mentale ancor prima che fisica), l'obiettivo di una svolta di vita che passa attraverso il miraggio di un gruzzolo da guadagnare. Drammi personali e famigliari lasceranno così il passo alla corsa, disperata, verso una meta che apparirà sempre più irraggiungibile e proprio per questo, invece, necessario traguardo esistenziale.

Il gioioso eppure inquieto commiato di Carlo Mazzacurati

A distanza di tre mesi dalla prematura scomparsa (a soli 58 anni) del regista padovano Carlo Mazzacurati (Vesna va veloce, La giusta distanza, La passione, solo per citare alcuni dei suoi titoli più celebri), arriva al cinema La sedia della felicità, film che esce nelle sale postumo e che rappresenta in un certo senso il personale saluto di Mazzacurati all'amato mondo del cinema. Si tratta infatti di un film che nasconde il dramma all'interno di un racconto scanzonato, gioioso, e a tratti assai divertente. In bilico tra grottesco e lirico, La sedia della felicità riesce infatti a trasformare (soprattutto nella seconda parte del film, quella senza dubbio più scorrevole e riuscita) una sinossi tutto sommato evanescente, in una storia che trova il suo punto di forza in alcune delle sue scene chiave (prima fra tutte la disamina televisiva dei quadri - El me cagneto, La mucca che pianze - di un improbabile artista alpino fatta da un memorabile duetto di Silvio Orlando e Fabrizio Bentivoglio). Un punto di forza trainato poi dalla verve artistica di un ottimo cast di - già citati - protagonisti (Ragonese, Mastandrea, Battiston) e una frizzante e variegata cornice di comprimari (tra gli altri anche Antonio Albanese, Katia Ricciarelli, Raul Cremona). Gli alti e bassi di una storia non sempre omogenea e unitaria vengono così controbilanciati da un iter che abbracciando a un tempo surrealismo e comicità veleggia verso una chiusura assai divertente in cui ogni personaggio finirà (forse) per individuare la propria collocazione nel mondo, tra nuovi amori, misteriose sparizioni e inaspettate ‘rincongiunzioni'.

La sedia della felicità Film di saluto del compianto regista padovano Carlo Mazzacurati, La sedia felicità è un film assai estemporaneo che affronta i disagi e la crisi intrinseca della società attraverso un racconto a un tempo surreale e comico, riflessivo e scanzonato. Pur nella tendenza a essere rapsodico e non sempre unitario nella messa in scena delle varie tracce narrative, La sedia della felicità traduce in azioni quello stato di estatica complessità da cui è afflitto il nostro contemporaneo, ovvero la continua alternanza tra la necessità di slancio verso una nuova prospettiva - la svolta - e la tragica consapevolezza che forse quella svolta non si compirà mai. Bruna, Dino e padre Weiner rappresentano dunque i tre volti di uno stesso limbo, in cui la speranza e il miraggio sembrano coincidere con assoluta ironia; ed è per questa ragione che, anche se strutturalmente imperfetto, La sedia della felicità riesce comunque a essere in fondo latore di una riflessione, estemporanea ma non sciocca, sugli assunti della vita.

6.5

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