Recensione La scuola è finita

Il deludente ritorno di Jalongo al cinema.

Recensione La scuola è finita
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Dopo anni passati dedicandosi perlopiù a progetti per la televisione e documentari di interesse sociale, Valerio Jalongo è pronto a tornare sul grande schermo. Questa volta il centro del suo interesse è la scuola italiana, non vista come problematica di interesse nazionale, ma studiata dal suo interno, con i suoi corridoi fatiscenti e le decorazioni, reali e metaforiche, profondamente degenerate. Il titolo, poi, è già di per sé evocativo di quello che bisogna aspettarsi: La scuola è finita.

Il mondo di Alex

Alex Donadei (Fulvio Forti) è uno studente dell'Istituto Pestalozzi di Roma. Apatico e assente durante le lezioni, costantemente fonte di problemi e discussioni, intrattiene se stesso e i suoi compagni distribuendo pasticche durante la ricreazione. Proprio per questo è molto popolare tra compagni e professori, anche se con giudizi completamente agli antipodi. Fanno eccezione la professoressa Quarenghi (Valeria Golino) e il professor Talarico (Vincenzo Amato): la prima con il suo centro d'ascolto cerca di salvarlo in solitaria, il secondo, costretto dalla Preside a essere il suo insegnante, scopre nella musica la chiave di comunicazione tra loro. Ma il loro coinvolgimento nelle questioni private e scolastiche di Donadei e i sempre più pressanti motivi personali che li attanagliano, porteranno i due professori a imprigionarsi in una rete da cui è difficile uscire... soprattutto con la reputazione intatta.

Studiando la scuola

È stato il primo film italiano presentato in concorso al Festival Internazionale del Film di Roma e con la sua poco pressante presenza ha ammazzato ogni possibilità di competizione del nostro Paese. Una sceneggiatura, quella de La scuola è finita, su cui Jalongo lavorava già dal 2002, quando il trattamento originale chiamato Laria è stato tra i finalisti del premio Solinas... eppure tutti questi anni di gestazione, come spesso accade, hanno intaccato la struttura interna del soggetto, rendendolo sconnesso e frammentario. Anni utilizzati dal regista per studiare dall'interno la scuola italiana, soprattutto quegli istituti che, non essendo dei licei classici o scientifici, sono più soggetti al degrado e all'abbandono. Tre anni passati spiando gli alunni in qualità di regista e professore: "Nel lungo percorso che ci ha condotto al film, ho realizzato insieme ad altri colleghi un video-diario: dal primo appello il primo giorno di scuola, per tre anni abbiamo documentato la vita di una classe. Volevamo capire perché, tra bocciature e abbandoni, più di un terzo degli studenti si perde per la strada e non arriva mai al diploma". Un lavoro apprezzabile e con buone motivazioni sociologiche che poi, compresso e rilavorato nella trama del film, si disperde e annulla di qualsiasi valenza. Il personaggio di Alex cerca a tutti i costi di essere il filo conduttore di una vicenda che, pur urlando con la forza di una prorompente canzone rock, non riesce a portare lo spettatore all'interno della storia. La sceneggiatura è frammentaria e gli avvenimenti spesso si susseguono senza un apparente consequenzialità, motivati da un malessere di fondo costantemente sottolineato ed esagerato, forzando pensieri ed emozioni. Nemmeno il montaggio veloce, tamburellante come la batteria delle band scolastiche che dividono i vari capitoli in cui è frazionata la pellicola, riesce a risollevare un progetto che si trascina annoiato sullo schermo.

La noia: il male di una generazione

Jalongo si gioca male un'occasione con ottime potenzialità di ricerca e così il suo film diventa una fotografia a tinte (troppo) virate di una scuola costantemente sotto accusa, dove l'insofferenza degli alunni dovrebbe essere mitigata dall'esempio di famiglie e professori. A Valeria Golino e Vincenzo Amato vengono consegnate le redini di una moralità costantemente messa in discussione e per questo molto attuale, ma trattata in maniera grossolana e una dose eccessiva di retorica. Nonostante la loro realtà sociale e l'effettiva coscienza nello spettatore che persone come loro sono in ogni nostra giornata, tutti i personaggi appaino costantemente sopra le righe, vittime di interpretazioni grezze, dove le sfumature sono obbligatoriamente messe in disparte a favore di un imposto impatto sociale, che poco affascina e ancor meno fa riflettere, e di un'impostazione a tutti i costi giovanile, fatta di linguaggi senza scrupoli, droghe e occupazioni. La noia metafisica degli studenti dell'istituto diventa quella dello spettatore, allietata solo dalla colonna sonora gestita da Francesco Sàrcina, frontman de Le Vibrazioni, che accompagna gli 85 minuti di film verso una (esa)sperata conclusione.

La Scuola è Finita La scuola è finita e cinicamente si potrebbe rispondere con un "e meno male". Il ritorno al grande schermo di Jalongo delude e lentamente annoia, costretto in una pellicola che si scontra costantemente con una eccessiva retorica e una ricerca dell'attualità continua e mai raggiunta. L'immagine fornita del mondo scolastico contemporaneo è socialmente affascinante e veritiera, ma il modo con cui essa viene posta allo spettatore riduce il progetto a un mero tentativo non riuscito, fatto di personaggi ed eventi portati immotivatamente agli estremi.

4.5

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