Recensione La Promessa dell'Assassino

Il nuovo, oscuro, capolavoro di Cronenberg

Recensione La Promessa dell'Assassino
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Il regista

Il maestro delle perversioni, il profeta della simbiosi uomo-macchina. David Cronenberg è stato uno dei pochi registi che ad Hollywood ha avuto il coraggio di mostrare le conseguenze che le pulsioni umane possono avere sull'intera società. E con film per nulla facili, la cui violenza fisica o psicologica si è rilevata a tratti così estrema da esser insostenibile per i cuori più deboli. Nato a Toronto, Canada, nel 1943, ha realizzato diversi corti e qualche lungometraggio (Stereo) più alcuni prodotti televisivi, prima di giungere alla fama con Il Demone sotto la Pelle. Già in questo prodotto erano presenti tutti i suoi elementi cardine: la fantascienza corporea unita ad un'attenta analisi / critica sociale. La trama è semplice, se vogliamo anche banale e citazionista visto i rimandi all'originale L'invasione degli ultracorpi: dei parassiti a forma di verme entrano nei corpi delle persone, trasformandoli in animali affamati di sesso. Qui però niente cause aliene, ma la mente creatrice di tale mostruosità è proprio l'uomo, alla ricerca di nuove soluzioni genetiche per il miglioramento della salute. Da subito la forte carica visionaria di Cronenberg emerge potente. Una storia non troppo dissimile è presente anche nel successivo Rabid - Sete di Sangue, dove una giovane ragazza, in seguito ad un incidente in moto, viene curata con delle nuove tecnologie mediche. Queste però provocheranno in lei una mutazione genetica, che la renderà assetata di sangue, e ben presto il contagio si diffonderà a macchia d'olio nella popolazione. Una sorta di rivoluzione sul tema del vampirismo, che qui vede lontani i classici succhiasangue a cui il cinema abituato, in favore di una calamità causata ancora una volta dall'uomo. Nel 1979 vedono la luce ben due pellicole, l'evitabile Veloci di Mestiere e il riuscito The Brood - La Covata Malefica, nel quale il regista canadese si affaccia sul versante più tipicamente horror, anche qui però sempre ben collegato a vicende umane. La scelta di utilizzare dei mostri nani, come principali antagonisti del protagonista, si rivelò geniale per la sua follia, macabra e a tratti ripugnante. Si giunge così agli anni '80, tra i periodi più floridi per Cronenberg. In questa decade vedono la luce infatti alcuni dei suoi più grandi capolavori, colmi di uno stile carico di rimandi a quei tempi. In Scanners e Videodrome comincia a trattare più approfonditamente il fattore mentale, senza scinderlo mai però dal potere del corpo. Se nel primo film citato narra la lotta tra alcuni individui dotati di superpoteri mentali, in Videodrome sfoga tutta la sua perversione sessuale, con allucinazioni distrurbanti ma allo stesso tempo affascinanti nella loro visionarietà: pelle che muta, pensieri incerti per un gioiello di chiaro marchio cyberpunk. La capacità di vedere il futuro è invece trattata in La Zona Morta, dal romanzo di Stephen King, e forse proprio questa fonte letteraria la rende la sua opera più impersonale, per quanto si tratti di una pellicola più che meritevole. Nel 1986 arriva la consacrazione: La Mosca (che, pochi sapranno, altro non è che il remake di L'Esperimento del dottor K) infatti si rivelerà un grandissimo successo, capace di diventare un vero e proprio cult del cinema. La capacità di fondere il degrado mentale con il cambiamento fisico, una grande prova di Jeff Goldblum e degli effetti raccapriccianti hanno reso una storia d'amore tragica qualcosa di unico nel genere. Un altro grande attore, quasi feticcio, per il regista è stato Jeremy Irons, prima nella strepitosa doppia interpretazione nel chirurgico Inseparabili, nei panni di due gemelli dalla psiche disturbata, poi in M. Butterfly, paradossale storia (ispirata, per altro, a una storia vera) di un diplomatico inglese che si innamora di una cantante dell'opera cinese, senza accorgersi della sua sessualità. Nel mezzo vede la luce una delle sue opere più difficili, Il Pasto Nudo, tratto dallo schizofrenico romanzo di William Burroughs. Cronenberg lo rende una sorta di noir allucinogeno, dove la droga finisce per trasformare ogni cosa, dalle macchina da scrivere che si trasformano in scarafaggi giganti, a visioni di alieni umanoidi. In una sorta di paradossale rapporto d'amore, tratta poi il tema degli incidenti automobilistici con Crash, dove in seguito a due incidenti due sopravvissutti si innamorano, e cominciano a cercare emozioni forti in macchina, che siano sessuali o adrenaliniche. E' poi il turno della tecnologia più evoluta con ExistenZ, dove la realtà virtuale è vista come un forte pericolo per la società attuale: un asciutto e crudo manifesto contro il potere dei computer. La sua opera più intimista, Spider, racconta invece una tematica difficile come quella della schizofrenia, dove passato e presente continuano incrociarsi in una sorta di giallo all'incontrario, con un finale scioccante.Ma è nel 2005 che il regista ottiene il suo più grande successo di critica, con A history of violence, che ha segnato una svolta nella sua carriera...

La svolta

Anno 2005 : esce nelle sale A History of Violence. Una delle opere più riuscite degli ultimi anni, dove Cronenberg mette in mostra tutta la follia che si nasconde nella mente umana, pronta solo a esser risvegliata. Quando il passato ti cerca, non puoi fuggirgli. Un apologo sulla violenza e la redenzione, che ha segnato un netto cambio di rotta rispetto alle sue opere precedenti. Niente più allucinazioni, temi cari al filone fantascientifico, nessuna mutazione di ordine genetico / mentale. Solo la storia di un uomo che, dopo aver cambiato vita, si ritrova la precedente a bussargli alla porta, e l'unico modo per eliminarla per sempre sarà tornare per un po' quello di una volta. Lo stesso titolo, una storia di violenza, vuol significare l'apparente normalità della vicenda, la quale si trasforma ben presto in un viaggio nei meandri della mente umana di grande, sporco fascino. Qui comincia anche il suo cammino con Viggo Mortensen, ormai libero dalla paura di rimanere schiavo di Aragorn per sempre. L'attora americano si è rivelato una scelta perfetta, e non è un caso se la loro collaborazione è continuata anche nel film oggetto della recensione.

Promesse dell'Est

Ancora una volta la distribuzione va a modificare il senso stesso di un titolo. La pellicola di Cronenberg è infatti giunta da noi come La Promessa dell'Assassino, che snatura completamente il significato dell'originale, Eastern Promises. Tralasciando queste imperfezioni, a cui ahimè, siamo fin troppo (mal) abituati nel Belpaese, andiamo a parlare della trama. A Londra una ragazza russa, di 14 anni, muore in ospedale dando alla luce una bambina. Anna (Naomi Watts) l'infermiera di origini russe che l'ha messa al mondo, decide di cercare i parenti della giovane. Si troverà immischiata nel giro della mafia russa, visto che la madre della piccola altro non era che una baby prostituta. A capo della fazione londinese vi è Seymon (Armin Mueller-Stahl) in apparenza gestore di un ristorante, ma che tratta in verità traffici illeciti. Suo figlio Kirill (Vincent Cassel) è un ubriacone violento e immaturo, che ha alle sue dipendenze l'amico Nikolai (Viggo Mortensen), autista e becchino dell'organizzazione. Tra intrighi e tradimenti, omicidi e violenza, si dipana una storia di grande impatto emotivo.

Chiaroscuri

Violento, oscuro, indagatore dell'anima. Il nuovo capolavoro di Cronenberg è uno splendido, raffinato apologo sul mondo crudele, che vede persone imprigionate all'interno di un ruolo non voluto. Il giro delle prostitute legato alla mafia russa viene trattato con una durezza emotiva di non poco conto, e la scena in cui Nikolai è costretto con la forza a violentare una di loro è l'esempio migliore per narrare questo dramma. Il diario della giovane prostituta morta, che invischierà Anna in un gioco pericoloso, torna più volte come voce narrante all'interno del film, una scelta forse "bastarda" ma di sicuro coinvolgimento. I personaggi son tutti ottimamente caratterizzati, a cominciare da Nikolai, cui Mortensen regala anima e corpo in maniera strepitosa. A quasi 50 anni Viggo mostra una forma fisica impeccabile, con un corpo muscoloso reso ancor più massiccio da enormi tatuaggi, marchio di riconoscimento della mafia russa. E non è un caso se la scena della doccia, dove combatte completamente nudo contro due sicari pronti ad ucciderlo, si farà senz'altro ricordare nella storia del cinema. Potente, sanguinaria, perfetta nel movimento dei corpi, che qui riescono ad avere una forza non solo fisica, ma anche psicologica di altissimo livello. Se Mortensen quindi regala un'interpretazione magnifica, per cui un Oscar non sarebbe per nulla inappropriato, anche gli altri interpreti non sono da meno. Vincent Cassel delinea una figura instabile, malata e folle, carica di un'immaturità espressa con sguardi e scatti d'ira magnifici, e comunque capace di provar pietà. Il tedesco Armin Mueller-Stahl, nella sua apparente tranquillità, regala un cinismo estremo al suo personaggio, sintomo anche qui di una grande abilità recitativa. La Watts, il cui compito era a dir la verità ben più semplice, si fa comunque apprezzare. La fotografia è lucida, e complice anche delle splendide ambientazioni notturne, riesce a rendere l'atmosfera ancor più inquietante. Le stesse musiche sono silenti accompagnatrici della storia, ed aiutano ad immergersi in questa storia cupa. L'accento russo volutamente marcato dato ai protagonisti, una scelta rischiosa che avrebbe potuto far cader tutto nel ridicolo, si rivela invece azzeccata, anche se è a tratti inspiegabile il cambio di lingua nella stessa discussione tra due personaggi. A livello di sceneggiatura, interessante il colpo di scena verso la fine del film, che rivoluziona tutto quello che lo spettatore aveva fin lì creduto, mentre un po' banale il finale pseudo / affettivo. Il finale in parte irrisolto (ma che non dovrebbe lasciare adito a seguiti, in quanto comunque il cerchio si chiude) è carico di gran fascino.Niente appare finto, non si può neanche lontanamente paragonare a nessuno dei classici film d'azione made in Hollywood, giacchè la violenza qui è viva, reale, pulsa da ogni fotogramma, come trasformasse la realtà in immagine, in un'ossessiva e convulsiva ricerca di esistenza. Un prodotto morale nella sua pur completa immoralità, dove però gli sprazzi di umanità son ancor più grandiosi, giacchè nati dal dolore e dalla tristezza, da personaggi insospettabili.Un noir dell'anima, uno dei prodotti migliori degli ultimi anni, intenso e calamitante. Cronenberg e Mortensen ancora una volta insieme, e ancora una volta un capolavoro. Di solito non c'è il due senza il tre...

La Promessa dell'Assassino Cronenberg spacca ogni convenzione del cinema. Se già con A History of Violence si era in parte distaccato dalle sue tematiche precedenti, qui continua il suo viaggio all'interno di una violenza più viva e ambientata nel reale. Grazie ad un cast straordinario, su cui spiccano Mortensen e Cassel, propone una storia forte, dove la violenza diventa sinonimo di una società degradata, della degenerazione dell'animo umano. E la scena nelle docce è destinata a diventare vero e proprio culto. Imperdibile.

8.5

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