Recensione La Prima Linea

Convincente il drammatico viaggio all'inferno di Scamarcio e Mezzogiorno

Recensione La Prima Linea
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La cinematografia italiana è attualmente monopolizzata dall'intrattenimento leggero, e questo è un dato di fatto. I produttori si arrischiano solo per operazioni di sicuro ritorno economico, quali cinepanettoni e/o film gggiovani sulla “generazione X” di Moccia & co. Registi e sceneggiatori si adeguano, e spesso buone idee annegano nel bisogno di dover includere un po' di banalità a buon mercato. E' una necessità a cui, nel bene o nel male, non si sottrae quasi nessuno, se si vuole avere la possibilità di portare avanti il proprio lavoro davanti ad un pubblico spesso addormentato.
I grandi film di denuncia non vengono quasi più realizzati; o quando questo avviene, immancabili sono le polemiche per la necessità di dover ricorrere a fondi statali per parlare di tematiche forti, scottanti, che spesso l'Italia (o meglio, gli italiani) preferiscono nascondere sotto il letto...lontano dagli occhi, lontano dal cuore. E' successo questo col film di De Maria “La Prima Linea” che ci apprestiamo a recensire. Tanto che, pur di zittire delle polemiche nate per partito preso molto prima che il film fosse nelle sale, la produzione ha preferito rinunciare a molte sovvenzioni e patrocini statali, ricorrendo anche a capitale estero pur di portare a termine la pellicola.

La Prima Linea

E' il 1989. Dal carcere “Le Nuove” di Torino una voce e un volto decidono di raccontare una storia terribile, personale, ma che in qualche modo può accomunare l'Italia intera. La voce, il volto e la storia sono quelle di Sergio Segio (Riccardo Scamarcio), ex terrorista di punta dell'organizzazione di lotta armata “Prima Linea”, ora imprigionato con una condanna all'ergastolo da scontare.
Segio racconta, con amarezza, i punti cardine della sua vicenda, che si snoda durante l'ultima parte dei cosiddetti “anni di piombo”: la militanza post-sessantottina, la prima resistenza armata, i primi, tragici omicidi politici perpetrati dal suo gruppo; fino al disperato attacco al carcere di Rovigo nel 1983 - quando ormai la lotta armata era finita, ma quella per liberare i propri compagni no - e al definitivo arresto pochi mesi dopo.

“Nemico Pubblico” all'italiana?

Abbiamo già accennato alle tante polemiche che il film ha scatenato prima ancora della sua uscita. Non è certamente facile raccontare una storia così drammatica e ancora abbastanza vicina nel tempo (appena trent'anni fa) senza incorrere nella legittima paura, da parte dei familiari delle vittime, che il tutto non sia reso a dovere e col dovuto rispetto. C'era la cosciente paura che Segio diventasse una sorta di Dillinger all'italiana, nell'interpretazione di un “bello” dei giorni nostri come Scamarcio. Tanto che lo stesso Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano aveva espresso seri dubbi su una sua possibile visione del film. Ci si sente sollevati, nel vedere, invece, che non c'è nessuna spettacolarizzazione nelle azioni portate avanti da Prima Linea, rappresentate anzi in maniera molto realistica, quasi rozza...e non parliamo della tecnica cinematografica, quanto della raffigurazione degli atti in sé: non c'è niente di bello in una raffica di mitra o in una molotov, si sente solo il disgustoso sapore della morte e della disperazione, di “un prezzo troppo alto da pagare per la 'giustizia': la perdita dell'umanità”. Le figure di Segio e di Susanna Ronconi (sua compagna, interpretata da Giovanna Mezzogiorno) non sono tratteggiate come quelle di due eroi romantici, quanto di due persone sconfitte dai propri stessi ideali e sempre più estraniate dalla realtà.

“Avevamo scambiato il tramonto per l'alba”

E', questo, forse il punto cardine del film, l'elemento che più di tutti il regista Renato De Maria (che già aveva raccontato, secondo altri punti di vista, gli anni di piombo in Paz!) ha voluto rimarcare: il come giovani intelligenti e volenterosi possano, a volte, intraprendere percorsi completamente sbagliati, imbrigliati in una qualunque forma di estremismo. Il film, difatti, più che trattare le ragioni sociali e politiche che fomentarono quegli anni, parla del percorso mentale di una persona talmente imbottigliata in un ideale utopico da perdere completamente il contatto con la realtà, in una sorta di follia lucida, di autoconvincimento quasi impossibile da scacciar via. Segio e compagni fanno cose atroci con la convinzione che sia un male necessario: rendersi conto che è tutto sbagliato è uno shock inaffrontabile, e preferiscono, fin che è possibile, tener fede al loro credo.
In questo contesto, la pellicola offre alcune scene memorabili: soprattutto il dialogo fra Segio e il suo vecchio amico Piero, che fa definitivamente comprendere allo spettatore quale sia il punto di vista, assai critico, del regista e degli sceneggiatori, riguardo alla vicenda.
L'opera è liberamente ispirata da un libro dello stesso Segio, “La miccia corta”, che tuttavia De Maria e gli sceneggiatori Petraglia, Cotroneo e Signorile hanno usato solo come base, aggiungendo diversi particolari della vita privata di Segio e della Ronconi, oltre che della storia del loro movimento.
Segio, in verità, è stato molto critico nei confronti del film: avrebbe preferito fosse meno incentrato su di lui e più approfondito dal punto di vista storico, sociale, politico. Voleva parlasse di più dell'origine del movimento, dei suoi ideali, del perché ci avessero creduto così tanto, all'epoca. Desiderio legittimo, ma ci sentiamo di dire poco realizzabile a livello cinematografico, senza che diventasse un film troppo pesante e indigeribile per il pubblico nostrano.
Nonostante abbia cercato di offrire un quadro generale della situazione del periodo (anche tramite un intenso utilizzo di filmati d'epoca e un'ottima ricostruzione d'ambiente), è chiaro che l'intento di De Maria fosse quello di raccontare un percorso umano, più che uno politico.

La Prima Linea Il film, in finale, sembra più un atto di denuncia sugli effetti deleteri degli “ismi” di ogni genere, che un documentario su uno dei periodi più difficili della storia italiana, ma è una scelta voluta e crediamo ponderata da parte del regista, che riesce a tenere insieme la vicenda senza mai annoiare lo spettatore, rendendolo partecipe di una dolorosa strada verso l'inferno che non porta né alla pace né alla gloria. “La Prima Linea” non è certo esente da difetti (in primis la linearità della vicenda, mascherata male dall'altalenarsi del racconto fra vari salti temporali che spesso straniscono lo spettatore), ma è in generale ben confezionato, senza cedere alla tentazione di regalare allo spettatore scene d'esaltazione gratuita. Nota di merito inoltre agli interpreti, in particolare alla Mezzogiorno, per aver saputo rendere così bene la tenacia di un ideale utopico e senza vie d'uscita.

7.5

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