Recensione La moglie del sarto

Maria Grazia Cucinotta nel sud d'inizio anni Sessanta

Recensione La moglie del sarto
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Era dal 1992, anno in cui diresse Angeli a sud, suo primo lungometraggio cinematografico, che Massimo Scaglione non tornava dietro la macchina da presa.
Su sceneggiatura scritta da lui stesso, lo fa con La moglie del sarto, ambientato nell'Italia meridionale del 1960; dove Maria Grazia Cucinotta concede anima e corpo alla quarantaquattrenne Rosetta Pignataro, la quale, rimasta improvvisamente vedova di un sarto per uomini deceduto all'apice del successo artistico ed economico, rimane sola con la figlia Sofia alias Marta Gastini, abbandonate da parenti e amici e, di conseguenza, costrette a chiudere l'attività.
Fino al momento in cui decidono di riaprire l'atelier e di buttarsi a capofitto nel lavoro di "sarte per soli uomini" al fine di reagire a voci diffamatorie, provocazioni meschine e stratagemmi puerili da parte della gente del paese, dietro la cui malevolenza, in realtà, si nasconde il disegno truffaldino dell'uomo più potente del posto: l'assessore Cordaro, ovvero Ninni Bruschetta, che, con la complicità di Giuliano Madera, finto imprenditore venuto da Torino al quale concede anima e corpo Claudio Botosso, intende trasformare il borgo medioevale in un polo turistico di massa.

Giù e sud

Ed a trovarsi in una posizione strategica per la realizzazione del progetto è proprio l'antico palazzo nobiliare - con annessa sartoria - delle due donne, la cui bottega, a causa della loro bellezza e della assidua frequentazione maschile, diventa sulle maligne bocche degli altri la copertura di una casa d'appuntamento.
Del resto, il regista spiega: "Credo che vivere nascondendo i propri sentimenti, prigionieri dei pregiudizi propri ed altrui, impedisca di cogliere l'essenza della vità. I pregiudizi cambiano il corso delle grandi o piccole storie dell'umanità e dell'uomo. Ed è proprio della vita e della sua continuità che questo film racconta. Rosetta e Sofia, le nostre due protagoniste, vengono distrutte e uccise nell'animo dalla diffamazione e dai pregiudizi. Lottano, si battono, si feriscono mortalmente, annegano, fino a riemergere attraverso l'amore e la nascita di una nuova creatura".
Perché, appunto, è una storia di malelingue e di lotta tutta al femminile contro i pregiudizi quella raccontata nel corso della quasi ora e quaranta di visione, destinata ad evolversi con l'arrivo del puparo Salvatore, incarnato dall'Alessio Vassallo de I baci mai dati e che conquista in brevissimo tempo il cuore di Sofia.
Quasi ora e quaranta di visione che, con riferimenti (forse involontari) a La ciociara di Vittorio De Sica, prepara quasi sempre lo spettatore all'arrivo di un dramma che attende dietro l'angolo, man mano che sfodera una buona direzione degli attori; comprendenti anche l'immancabile Ernesto Mahieux, il Carlo Fabiano del vanziniano La vita è una cosa meravigliosa e Tony Sperandeo.
Aspetto che, insieme alla cura delle scenografie dei costumi (questi, tra l'altro, premiati in Brasile alla 1ª Mostra Internacional de Cinema), riesce in più di un'occasione a salvare l'insieme dal rischio di scadere nel look da soap opera.
Pur rimanendo una guardabile operazione probabilmente più adatta al pubblico delle fiction da piccolo schermo che delle produzioni da grande.

La moglie del sarto “Ho ricondotto e dipinto tutto nel microcosmo della mia terra, dove meglio si adattavano l’anima e il cuore del film: scenari e scenografie che la natura si diverte a creare, proprio là dove l’uomo, anziché godere e preservare, distrugge. Ho completato il quadro attraverso lo smarrimento e l’incertezza dei volti ed i gesti della gente umile del sud”. Così Massimo Scaglione sintetizza gli intenti del suo secondo lungometraggio, impreziosito da un cast ricco e ben diretto e caratterizzato da una non disprezzabile confezione... ma non distante, in fin dei conti, dal tenore di tante fiction che affollano la tv nostrana.

6

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