Recensione La Metamorfosi del Male

Un pericoloso licantropo per l'autore de L'altra faccia del diavolo

Recensione La Metamorfosi del Male
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Con immagini di notiziari e montaggio frenetico, il plot apre all'insegna del resoconto di una tragedia avvenuta: in vacanza nella Francia rurale, la famiglia Porter è stata brutalmente uccisa.
Immediatamente, quindi, nella testa dello spettatore non può fare a meno di scattare la molla di una doppia domanda: come è stata uccisa e, soprattutto, chi è il colpevole della strage?
Da qui, William Brent Bell, autore dell'horror videoludico Stay alive (2006) e del pov a tematica esorcistica L'altra faccia del diavolo (2012), tende a costruire ne La metamorfosi del male una intensa indagine portata avanti dall'avvocato americano Kate Moore, che vive in Francia con la propria équipe e cui concede anima e corpo la A.J. Cook di Final destination 2 (2003); in quanto chiamata a difendere il rozzo Talan Gwynek alias Brian Scott O'Connor, accusato della carneficina, dopo le prime ipotesi di un attacco animale, e residente proprio nei pressi della scena del crimine
Indagine che la donna, convinta della sua innocenza, decide di intraprendere adottando un approccio scientifico per dimostrare l'incapacità fisica dell'individuo di procurare danni ad altre persone; man mano che arriva ad ottenere anche una testimonianza della madre del presunto assassino.

L'altra faccia del licantropo

Testimonianza tramite cui si viene a scoprire che l'uomo soffre di una particolare malattia genetica ereditaria che ha provveduto a renderlo, fin da bambino, lo zimbello del vicinato.
Una malattia per la quale nessuno è mai stato in grado di trovare una cura e che, man mano che i fotogrammi scorrono sullo schermo e che ci viene dispensata l'impressionante immagine di un cadavere ridotto decisamente male, risulta sempre più chiaro essere la licantropia.
Una licantropia che, però, il regista non rappresenta nella stessa maniera altamente fantastica dell'infinità di werewolf movie che hanno affollato lo schermo dai tempi del mitico L'uomo lupo (1941) con Lon Chaney Jr, ma ricorre ad un taglio decisamente più realistico, tanto da avvicinare il mostro in questione ai licantropi realmente esistenti.
Quindi, non sono certo trasformazioni con tanto di musi allungati alla Un lupo mannaro americano a Londra (1981) ad essere presenti nel corso della quasi ora e mezza di visione, il cui tono di verità viene accentuato tramite il ricorso ad abbondanza di riprese eseguite con camera a mano.
Camera a mano il cui coinvolgimento, stavolta, non è sempre giustificato come accade nei più classici found footage alla The Blair witch project - Il mistero della strega di Blair (1999), contribuendo, di conseguenza, a conferire al tutto il tono di un film di narrazione e non del solito, finto documentario.
Mentre teste sfondate a mani nude e mandibole strappate via condiscono nella giusta maniera un elaborato che, pur senza eccellere, coinvolge a dovere, dimostrandosi capace di funzionare decisamente meglio rispetto alle precedenti prove di Bell.

La Metamorfosi del Male “Lavorando ad un altro film, io e Matt avevamo trovato dei filmati riguardanti un esorcismo, di quelli che si basano su fatti realmente accaduti. Così, abbiamo deciso di prendere spunto da altri miti dell'orrore, cercando il modo di farli apparire più vicini possibile alla realtà. Abbiamo considerato tutti i grandi personaggi del mondo dell’orrore e abbiamo scelto poi di raccontare la storia di un lupo mannaro, partendo da una sorta di storia mitologica, una storia da cui tutto aveva avuto inizio”. È così che William Brent Bell - autore, tra l’altro, del pessimo L’altra faccia del diavolo (2012) - spiega la maniera in cui lui e il suo fido co-sceneggiatore Matthew Peterman hanno concepito La metamorfosi del male (2013), film sulla licantropia che mira ad affrontare la tematica con tono realistico e con aspetto generale da pov, senza esserlo veramente. Con la giusta dose di coinvolgimento e splatter ad impreziosire il tutto.

6.5

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