Recensione La matassa

Risate intelligenti e buon cinema col terzo film di Ficarra e Picone

Recensione La matassa
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La matassa

Tradizione vuole che ogni famiglia siciliana abbia sempre in corso almeno una "sciarra": un litigio irrisolto e ostinato, nato magari da situazioni di ordinaria amministrazione ma che si trascina per tempi spesso lunghissimi, fino a dimenticarsi del motivo stesso della lite. Lite nel frattempo estesa a tutto il parentado, coinvolto nel bene e nel male, volente o nolente. E' quello che accade anche a Paolo e Gaetano Geraci (Valentino Picone e Salvo Ficarra), due cugini, un tempo in rapporti fraterni, allontanatisi loro malgrado per via di una lite fra i loro padri per il possesso dell'albergo di famiglia.
Una serie di circostanze fortuite faranno riavvicinare i due (nel frattempo cresciuti in maniera diversissima l'uno dall'altro) giusto in tempo per cacciarsi in un bel po' di guai...

Non c'è due senza tre

Sono passati esattamente due anni dal precedente exploit cinematografico del duo comico Ficarra e Picone: dopo il graffiante Nati Stanchi e il rocambolesco il 7 e l'8, è la volta de La Matassa, firmato ancora una volta in collaborazione con Giambattista Avellino.
In questa loro terza prova i due irriverenti, ma sagaci siciliani ripropongono ancora una volta i loro ruoli classici, quello dell'ingenuo e quello dell'furbo-non-tanto-furbo, portandoli all'estremo: Paolo è un sempliciotto di una bontà impressionante, nonché un ipocondriaco all'ultimo stadio, sempre alle prese con aerosol e ansiolitici; Gaetano è invece un truffatore di terza categoria, titolare di un'agenzia matrimoniale volta a procacciare matrimoni di interesse fra immigrate in cerca del visto e vecchi bacucchi "a un passo dall'altare, ma anche a un passo dalla fossa".
Intorno a loro un ben nutrito cast di attori siciliani doc, nelle vesti di parenti e amici: da segnalare, oltre a grandi nomi del teatro come Mario Pupella, Pino Caruso e Tuccio Musumeci, i giovani Claudio Gioè e Anna Safroncik, convincenti nelle parti di Antonio (l'amico dottore che "passa" i clienti moribondi a Gaetano) e di Olga, la bella e riluttante moglie russa dello spettinato rubagalline. Molto bravi, infine, e decisamente somiglianti, i due ragazzini scelti per interpretare Ficarra e Picone da bambini.
Interessante la fine opera di sceneggiatura del film, assai distante dalla comicità attualmente imperante al cinema, fatta di grasse risate e volgarità di ogni tipo: se già nei film precedenti a questa si preferiva una divertita satira (molto tendente all'autocritica) sui siciliani e la sicilianità, pur non discostandosi dalla formula "una gag dietro l'altra", ne La Matassa l'impianto narrativo si fa più semplice ma al contempo più solido, aggiungendo malinconici spunti di riflessione sul significato della famiglia e sull'inutilità delle liti fini a sè stesse.
Fa piacere inoltre che la pellicola non scemi nel finale come le due precedenti, grazie ad una molto ispirata sequenza che dissolve flashback e mondo attuale con molto garbo.

La Matassa Tecnicamente molto valido (bravissimo cast, fotografia puntuale e attenta, bellissime -e poco note- location, colonna sonora scelta con cura e non invadente) e assai divertente, ma al contempo anche a suo modo profondo, la Matassa è uno dei rari esempi ancora in giro di una comicità all’italiana sana e al contempo intelligente. Il rinnovato equilibrio fra comicità e sentimento nell’opera la porta diverse spanne sopra la concorrenza, fatta di cinepanettoni e film dalle tematiche “gggiovani” tutti uguali e, soprattutto, brutti, riaggiustando il tiro all’intera categoria, che si dimostra così ancora degna di attenzione sia da parte del pubblico, che della critica, ma anche dei produttori, che dovrebbero forse puntare di più su certi artisti provenienti dal cabaret e dal teatro, e meno sulle mode del momento. Ne gioveremmo tutti, sia sul momento che sul lungo periodo, riuscendo forse anche a “rieducare” un pubblico di massa che, chissà , a poco a poco, comincerebbe a carpire la differenza tra una risata grassa e una intelligente. Chiediamo troppo?

7.5

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