Recensione La luna su Torino

Davide Ferrario sfrutta lo speciale 'osservatorio' torinese per riflettere sulla vita

Recensione La luna su Torino
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A distanza di nove anni dal suo lavoro forse più noto (Dopo Mezzanotte), Davide Ferrario torna a girare un film in quella Torino che sembra generare in lui sempre numerose riflessioni e suggestioni. Di nuovo immerso tra personaggi vittime di uno stallo esistenziale che come quadrati del cubo di Rubik non sembrano voler ‘appaiare' i propri colori, La luna su Torino parte dalle coordinate speciali di una città particolare per inseguire poi il filo intrecciato di tre esistenze (tre amici ‘diversamente artistoidi') forse in crisi d'identità, forse solo alla ricerca di uno spunto per liberarsi definitivamente dei loro schemi. C'è Maria, appassionata di film classici e alla disperata ricerca di un uomo che possa dimostrarle (una volta per tutte) l'esistenza dell'amore; poi c'è Dario, amante degli animali e impiegato in uno zoo che studia lettere a tempo perso e non riesce a capire se gli appartenga o meno il destino di impegnarsi davvero in qualcosa; e infine c'è Ugo, uomo spiritoso e cuoco appassionato, sempre pronto a rispondere alla vita con una citazione leopardiana, grande amante delle donne, ma altrettanto inconsapevole (al pari dei suoi due amici) di quale sia davvero la sua strada. Tutti insieme vivono nella stessa grande casa (ereditata) di Ugo e vagano per una sinuosa Torino alla ricerca di un indizio da seguire e che potrebbe forse legare tutte le loro vite al destino di quel 45° parallelo sul quale la stessa Torino (la città dall'aura misteriosa) insiste.

I luoghi della vita secondo Ferrario

Se in Dopo Mezzanotte era la suggestione della Mole Antonelliana e dei suoi magici ‘contenuti' a creare lo spazio umano e narrativo attraverso il quale portare a galla lo stallo vitale di tre esistenze connesse ed equidistanti, in La luna su Torino lo sguardo si restringe a quei luoghi più intimi e meno simbolici (la casa, l'ufficio, lo zoo) quotidianamente frequentati dai protagonisti. Il modus operandi del regista resta però intatto e la ricerca di significati Ferrario la porta avanti sperimentando incroci e incastri nella speranza di ottenere attraverso il mescolarsi delle storie il risultato delle ‘facciate di un unico colore'. Da un lato, non tutto funziona a dovere e mentre l'economia estemporanea di alcuni quadretti dona al film una certa scorrevolezza, è invece proprio nel tentativo di trovare un suo denominatore comune che La luna su Torino sembra non riuscire a centrare l'obiettivo. D'altro canto, pur nel suo essere un lavoro non del tutto compiuto, il film di Ferrario riesce a tracciare le sue personali armonie e disarmonie della vita, che corrono parallelamente alle strade che sempre tentiamo (e che spesso non riusciamo) di infilare. E pur nella mancanza di una struttura narrativa capace di rendere fino in fondo giustizia all'esplorazione umana e sociale condotta dal film, La luna su Torino riesce (in ogni caso) a trasmettere (seppure a intermittenza) la lieve melodia di una vita da cercare e costruire, sempre e comunque, all'interno dei propri talenti e delle proprie ispirazioni. Ferrario procede ancora una volta verso la suggestione di elementi come letteratura, natura, arte che devono convogliare verso un'idea di vita che metta al centro la passione, e la bellezza: non quella grande, magniloquente descritta da Sorrentino e recentemente al centro di grandi e accaniti dibattiti, ma la lieve bellezza nascosta nei piccoli gesti e nella voglia di osservare la vita che ogni giorno scegliamo di vivere.

La luna su Torino Presentato lo scorso autunno (fuori concorso) al Festival Internazionale del Film di Roma, arriva nelle sale La luna su Torino, ultimo film del cremonese Davide Ferrario. Al centro dell’opera ancora un trio di vite confuse ma vitali, disorientate ma appassionate che lottano alla ricerca della loro strada. Un film non del tutto riuscito per la mancanza di una coesione e una fluidità marcate, ma che non manca (ciò nonostante) di veicolare un’insidiosa suggestione sulla bellezza della vita che si nasconde proprio nella diversità e nella mutevolezza dei suoi accidentati percorsi.

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