La guerra dei fiori rossi, recensione del film di Zhang Yuan

Zhang Yuan ci porta, con La guerra dei fiori rossi, in un viaggio iperbolico nella mente di un bambino, alla (ri)scoperta del pensiero infantile.

La guerra dei fiori rossi, recensione del film di Zhang Yuan
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La guerra dei fiori rossi

La guerra dei fiori rossi è l'opera seconda del regista Zhang Yuan (lo Zhang più famoso d'Oriente dopo quel genio di Yimou) che già aveva impressionato col suo primo film "Diciassette anni" in cui si percepiva la sua ribellione al normale vivere.
In questa pellicola vengono riprese tematiche simili, e per certi versi questa co-produzione italo-cinese sull'infanzia riporta alla memoria Jack Nicholson: il giovanissimo protagonista (età 4 anni) finisce per diventare un ribelle nell'asilo nel quale viene mandato, e per molte scene ricorda quel grande capolavoro che é "Qualcuno volò sul nido del cuculo".

Alla ricerca dell'affetto mai avuto

La storia si svolge in un asilo di Pechino, alla metà del secolo scorso, in un periodo in cui la Cina era agli albori della rivoluzione, culturale e non solo. Un bambino, Qiang, viene condotto in questa sua nuova "casa" dal padre, poco visibile in scena, quasi a suggerire un'assenza grave nella vita del figlio, che finirà presto per condizionarne i comportamenti. Appena giunto in quel luogo a lui estraneo, Qiang comincia ad avere problemi di socialità, piange spesso e non riesce a fare amicizia con i compagni, dai quali è più volte preso in giro. Molto forte a segnare la sua indole è anche il taglio del codino ai capelli (reso vivido dall'appropriata inquadratura che mostra la mano della maestra con le forbici in mano). In seguito si deve adattare a tutte le regole, dalle più semplici come alzare una delle due mani a seconda se si voglia ancora riso o zuppa, al non parlare mentre si mangia, e per ogni sgarro a questi dogmi la punizione è il mancato assegnamento di un fiorellino rosso. Le pagelle degli alunni, infatti, vengono segnate solitamente con dei fiori rossi (da qui il titolo del film): ogni azione che un alunno compie bene, come lavarsi le mani o vestirsi da solo, viene premiata con uno di questi, e chi ne colleziona di più ha la possibilità di diventare capoclasse la settimana successiva. I primi tempi solo Qiang e un suo compagno, il bullo della classe, non ne collezionano nessuno, e Qiang pare soffrire molto questa situazione. Il baby protagonista cerca sempre scampoli di libertà: significativa è la scena in cui esce di nascosto dal dormitorio e si reca fuori a correre nella neve, facendo la pipì e contravvenendo alle regole che imponevano determinati orari.

La sua è mente fervida, come quando immagina che dei fiorellini spuntino sulla sua pagella, o ancora quando pensa di far ridere le maestre con una storia; ma tutto questo rimarrà solo nella sua mente. Le angherie della maestra capo continuano a farsi più pesanti: gli ordina di svestirsi da solo quando sa benissimo che lui non è in grado, lo mette in ridicolo davanti alla classe e lui finisce per urinarsi addosso, o in seguito, quando richiede un fiorellino rosso e l'assistente è d'accordo, lei glielo nega. Il suo rapporto coi compagni non migliora, viene fatto oggetto di scherzi e rischia di isolarsi da tutti, se non fosse per una delle due sorelle della classe, con la quale diventa amico e ne combina di tutti i colori.
In seguito cominciano a credere che la maestra sia un mostro, pensando abbia la coda, e così una notte istigano i compagni a fare un agguato all'insegnante, con lacci recuperati nel dormitorio, ma quando questa svegliata li scopre, li sgrida e finisce per punire non loro ma il bullo. E' da questa volta che Qiang comincia a diventare insofferente, maligno con i suoi stessi compagni, spingendo le bambine per terra, o picchiandosi con i maschietti, e diventa uno dei migliori amici della pecora nera della classe. E quando la maestra dice "attento che arriva il lupo cattivo" per spaventarlo, lui dice che se lo vede lo ammazza. Ormai la sua psiche è diretta su strade perdute e violente, e perciò viene messo in punizione, e tutto questo porterà a un finale che lascia ben poca speranza.

Una pellicola non per "tutti"

Un film, questo, osteggiato in patria e il motivo è facilmente comprensibile sentendo la frase che ad un certo punto dice il piccolo "rivoluzionario" della vicenda credendo che la maestra sia un mostro: "E se la maestra si mangia i bambini?", chiaro riferimento ironico al comunismo cinese. E' un film non facile, sia per la complessità degli elementi che si cercano di trattare, e non tutti realizzati appieno, sia per l'arduo compito di amministrare una recitazione di attori non più neonati, ma non ancora bambini, persi in quel limbo che mischia innocenza a stupore. E così tutto si gioca sull'improvvisazione, sulla naturalezza di ogni singola scena, laddove un sorriso spontaneo è capace di emozionare maggiormente rispetto a un tourbillon di scene ripetute fino allo sfinimento, per raggiungere la perfezione. Di conseguenza le inquadrature si stringono sui visi, sui volti e sulle espressioni della scolaresca, mentre le attrici che interpretano le maestre, per quanto brave, non sono che un mero contorno allo spettacolo offerto dall'infanzia nella sua più pura incarnazione.

Suggestive alcune scene, come la caduta della neve all'inizio, atta a regalare momenti di magia in una mente così piccola, o alla giostra coi cavallini quasi simbolo di libertà. E' anche un atto di accusa contro una Cina che cominciava a essere dura con chi non andava d'accordo con le leggi di Mao, e che mostra come non sempre la repressione possa portare a risultati positivi, specialmente se usata su anime ancora innocenti che ancora ben poco sanno della vita. Il gioco a premi dei fiori, più che una sorta di incentivo che porti i piccoli a far ancora meglio, pare essere un motivo di divisione che crea contrasti tra di loro, e d'altronde il titolo "La guerra dei fiori rossi" non è stato certo scelto a caso. Una critica forte e dura, anche se velata sotto limbi di finta leggerezza, alla Cina di quel periodo. Yuan riesce a essere rivoluzionario contro la rivoluzione, un'impresa non da tutti ma che lui riesce a proferire con una certa classe. Uscito un po' in sordina, come è d'abitudine per i film d'autore, di vero cinema, soffocati dai blockbuster vuoti made in USA, è una pellicola da vedere, che seppur nella sua breve durata, circa 90 minuti, ha molti messaggi da trasmettere.

La guerra dei fiori rossi E' un viaggio nella mente di un bambino. Raramente dei registi hanno saputo indagare così bene nella psicologia infantile: possiamo pensare a due dei migliori cineasti del secolo, come Truffaut ne "I 400 colpi" o al connazionale Yimou con "Non uno di meno", due capolavori del cinema, nei quali però i giovani protagonisti erano in età un pò più adulta. Un'impresa coraggiosa quella di Yuan, in parte autobiografica, che và apprezzata appunto per il rischio che si è preso, e che riesce a essere suggestiva e emozionale per buona parte della sua durata, ma che perde un pò di verve in taluni momenti, aumentando un pò la pesantezza del film, già di per se dalla trama non certo leggera. Un film di certo non dedicato alle grandi masse, pensato per un pubblico di nicchia.

7

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