Recensione La foresta dei pugnali volanti

Questa sera, alle 23:00, RAI MOVIE propone il secondo tassello della trilogia wuxia diretta da Zhang Yimou

Recensione La foresta dei pugnali volanti
Articolo a cura di

Nella Cina del nono secolo, al tramonto della dinastia Tang, un’organizzazione di formidabili guerrieri, conosciuti come la “Casa dei Pugnali Volanti”, si oppone al potere imperiale. Sotto la guida di un nuovo leader, i Pugnali Volanti stanno accendendo lo spirito di ribellione del popolo, e l’Imperatore ritiene necessario stroncare definitivamente la loro rivolta. La chiave per vincere questo conflitto potrebbe essere rappresentata da Mei (Zhang Ziyi), una bellissima danzatrice cieca che si esibisce in raffinate acrobazie in una casa di piacere chiamata il Padiglione delle Poenie, e che rivela una sorprendente abilità di spadaccina. Tratta in arresto, Mei riesce a fuggire grazie al provvidenziale aiuto del giovane Jin, alias Vento (Takeshi Kaneshiro). Insieme i due si inoltrano nei meandri di una vasta foresta, inseguiti dalle truppe imperiali, e nel corso del tragitto fra loro nasce un profondo sentimento. Qualcuno, tuttavia, li sta osservando di nascosto: e sia Mei che Jin, del resto, celano dei segreti destinati a venire alla luce con fatidiche conseguenze...

DA LANTERNE ROSSE AI WUXIAPAN: UN RITRATTO DI ZHANG YIMOU

Nato a Sian nel 1951 e appartenente alla cosiddetta “quinta generazione” dei cineasti cinesi, Zhang Yimou è il regista che, a cavallo fra gli anni Ottanta e Novanta, ha contribuito in maniera determinante ad una nuova diffusione del cinema della Cina anche presso il pubblico occidentale: a partire dal suo film d’esordio, Sorgo rosso (1987), trasposizione del romanzo di Mo Yan e premiato con l’Orso d’Oro al Festival di Berlino, proseguendo poi con il melodramma Ju Dou (1990) e soprattutto con lo straordinario capolavoro Lanterne rosse (Leone d’Argento al Festival di Venezia 1991), entrambi candidati all’Oscar come miglior film straniero. Da allora, il talento di Zhang è stato consacrato ulteriormente presso tutti i maggiori festival internazionali con una pioggia di trofei, fra cui due Leoni d’Oro a Venezia per La storia di Qui Ju (1992) e Non uno di meno (1999), il Gran Premio della Giuria a Cannes per Vivere! (1994) e l’Orso d’Argento a Berlino per La strada verso casa (1999). Ma a partire dal 2002, sull’onda del trionfo planetario de La tigre e il dragone di Ang Lee, nella produzione di Zhang Yimou si è aperta una nuova fase, con un radicale cambiamento di genere, stile e tematiche rispetto alla sua produzione precedente: con Hero, ad oggi il suo più grande successo commerciale, Zhang ha dato infatti inizio ad una trilogia di wuxiapian, film avventurosi di cappa e spada, arricchiti da arti marziali e da duelli coreografici e spettacolari. Un filone rilanciato a livello mondiale proprio dal cult di Ang Lee, e al quale Zhang ha dato seguito, dopo Hero, con La foresta dei pugnali volanti nel 2004 e con La città proibita nel 2007 (con l’intermezzo di Mille miglia lontano).

LA DANZA DI MEI, FRA PASSIONE E MORTE

Messi da parte il realismo, l’introspezione psicologica e gli intenti di denuncia sociale che avevano contraddistinto la prima parte del suo itinerario artistico, nella suddetta trilogia Zhang Yimou si cimenta su un campo del tutto nuovo, affidandosi ai canoni del wuxiapian per far emergere, in filigrana, una sottile riflessione sulle ambiguità del potere. Se tale riflessione appariva preminente in Hero, all’interno del quale fra l’altro Zhang rendeva omaggio al classico Rashomon di Akira Kurosawa, ne La foresta dei pugnali volanti l’aspetto storico-politico della vicenda viene relegato a mero pretesto narrativo: una sorta di “cornice” sulla quale il regista mette in scena un fiammeggiante melodramma, in cui la travolgente passione fra Mei e Jin si pone come il fulcro nevralgico dell’intero racconto. Per la terza volta il regista cinese ritrova la sua musa, l’attrice Zhang Ziyi, che lui stesso aveva fatto esordire al cinema con La strada verso casa e alla quale qui affida un personaggio di tragico romanticismo, il cui animo si troverà dilaniato tra la fedeltà alla causa dei Pugnali Volanti e l’amore per Jin. L’autentico veicolo del melò è costituito però dallo splendore formale della pellicola di Zhang, in cui l’eleganza delle sequenze del ballo di Mei nel Padiglione delle Peonie trova un’ideale corrispondenza nelle geometriche armonie dei duelli: quasi a sottolineare il carattere speculare della danza e della lotta, abbacinanti manifestazioni di Eros e Thanatos. Il fascino figurativo del film, accentuato dalle scenografie di Huo Tingxiao e dai costumi di Emi Wada, diventa dunque ricerca di un’estetica del sublime di fatto inseparabile dalla vis drammatica dell’opera. L’ottimo responso del pubblico internazionale - circa quindici milioni di spettatori - è stato accompagnato da un relativo consenso da parte della critica (benché non tutti abbiano apprezzato il “nuovo corso” del cinema di Zhang) e da numerosi riconoscimenti, inclusi una nomination all’Oscar per la fotografia di Zhao Xiaoding, il National Society of Film Critics Award per la miglior regia e il Los Angeles Film Critics Award come miglior film straniero.

La foresta dei pugnali volanti Realizzato nel 2004, La foresta dei pugnali volanti rappresenta il secondo capitolo nella trilogia di wuxiapian realizzata da Zhang Yimou, il più affermato regista del cinema cinese contemporaneo. Attraverso un’avventura a base di duelli e inseguimenti ambientata all’epoca della dinastia Tang, Zhang mette in scena un ardente melodramma nel quale al carattere travolgente delle passioni dei protagonisti corrispondono, sul piano estetico, un’estrema eleganza figurativa ed il fascino ipnotico delle sequenze di danza e di duelli.

7.5

Quanto attendi: La foresta dei pugnali volanti

Hype
Hype totali: 1
90%
nd