Recensione La Dolce Vita

Presentata al Festival Internazionale del Film di Roma la versione restaurata del Capolavoro di Fellini

Recensione La Dolce Vita
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Una fontana entrata nel Mito, da cui sgorgano goccie cristalline che oggi appaiono come lacrime malinconiche a un Cinema che non c'è più, e di cui è perciò doveroso portare sempre saldo il ricordo. Il Festival Internazione del Film di Roma festeggia, a cinquant'anni dalla sua uscita, il film forse più di tutti simbolo della gloriosa era italica, con un restauro che rende, se possibile, ancora più belle le immagini di questo cimelio da tramandare ai posteri senza fine. E che purtroppo tanti giovani, con la complicità di una programmazione televisiva a dir poco scellerata, che lo ripropone in improbabili orari pomeridani o a notte inoltrata, ancora non conoscono se non per sentito dire, focalizzandosi soltanto sulla omnipresente, quella sì (tra speciali e spot televisivi) scena delle Fontana di Trevi in cui una giunonica Anita Edberk attira un incredulo Marcello Mastroianni. L'Opera di Federico Fellini è il classico esempio di Cultura, influenzata dalle radici "popolari" ma ammantata di quell'Arte, parola mai adatta come in questo caso, per tutti, che meriterebbe (insieme a molti altri classici della nostra storia) proiezioni nelle scuole. In una società che si basa quasi interamente sul gossip ossessivo, La dolce vita mostra come i nostri padri e nonni erano molto meno attaccati al consumismo sfrenato e il mondo del "giornalismo d'assalto" dello star system era ben diverso da quello attuale.

Sette giorni e sette notti

Marcello Rubini (Marcello Mastroianni) è un giornalista che lavora per una rivista scandalistica, anche se la sua ambizione è di diventare un importante scrittore. Si trova ogni sera nei pressi dei locali di Via Vittorio Veneto alla ricerca di qualche scoop, e pur vivendo con Emma (Yvonne Furneaux), che si strugge per lui, è solito concedersi qualche avventura con altre donne. Quando arriva a Roma Sylvia (Anita Ekberg) una famosa attrice svedese, Marcello la accompagna a un incontro con una delegazione di giornalisti e poi fugge con la donna tra le antiche via di Roma. Nei giorni successivi prenderà parte a un raduno religioso, incontrerà dopo diverso tempo il padre, e nella sua vita tra locali notturni e cabaret, conoscerà situazioni personaggi che lo cambieranno fortemente, in una ricerca di se stesso che sembra non trovare mai fine.

Spartiacque

Sin dai primi istanti, in cui una statua della Madonna viene trasportata sul cielo di Roma da un elicottero, sul quale si trova Mastroianni, si comprende l'importanza sacrale di un film che usciva sulle ceneri del Neorealismo, che proprio in quel periodo stava spegnendo lentamente la sua fiamma vitale (e che viene citato nei dialoghi in una sorta di malinconico omaggio), per lasciare posto all'Italia del boom sociale, della "ricchezza" in cui il nostro Paese ha saputo risollevarsi dopo i nefasti anni del dopoguerra. Fellini, che era già un regista consacrato da capolavori come La strada, I vitelloni e Le notti di Cabiria, sceglie perciò di puntare il suo acuto sguardo sul mondo dello star system, dei divi in cui il popolo vedeva delle vere e proprie icone, in una sorta di assimilazione allo stile hollywoodiano (a tal proposito notare come Sylvia venga creduta "americana" dalla gente comune, come si evince in una battuta) in quegli anni all'apice del suo splendore. Mentre in Francia Godard inaugurava "ufficialmente" la nouvelle vague con Fino all'ultimo respiro, l'Italia si affidava perciò al Maestro riminese per trovare una nuova via nel Cinema che contava, in grado di rivaleggiare con i kolossal d'Oltreoceano. Ecco perciò che si cerca di "dimenticare" i recenti trascorsi bui con una rappresentazione sfavillante della Roma bene, rappresentata attraverso i suoi idoli e la caccia ossessiva, limitata agli eccessi, delle ultime disavventure amorose dei suddetti, per far sognare il "popolo". Senza naturalmente tralasciare i lati oscuri, dati da personaggi sempre al limite e dal fanatismo religioso che plasmava la gente comune con altri "idoli".

"Marcello, come here"

E' perciò saggia la scelta delle menti che si misero a un tavolo per scrivere la sceneggiatura (cui prese parte anche un, non accreditato, "certo" Pier Paolo Pasolini) di rendere il protagonista, l'eroe urbano di questa settimana cinematografica, imperfetto, in continuo bilico tra la ricerca del sublime e la bassezza dei più umani istinti. Marcello Rubini è un uomo prima di tutto, lontano dai miti tanto cari alle major e al pubblico statunitense, e come tale commette errori e scelte che conducono altra gente a soffrire, prima fra tutti l'instabile compagna di una vita, la vittimista Emma che arriva più volte al tracollo psicologico per l'impenitenza fedifraga del compagno. Ma in mezzo a un mondo di lupi e sciacalli, più o meno affamati, è l'unico ad ambiare a qualcosa di più grande, a puntare al suo eterno sogno di divenire uno scrittore impegnato, e che si trascina in un lavoro che non disprezza ma nemmeno ama per raggiungere il suo obiettivo. E' lui il collante tra gli episodi in cui si trova invischiato in questi sette "incredibili" giorni, e che permettono a Fellini di mostrare tutti i volti di questa Italia in bilico tra il divismo e la sacralità, tra il ricordo e la speranza di un nuovo futuro.

Sacro e profano

E' perciò difficile pensare che all'anteprima tenuta in quel di Milano diversi spettatori si alzarono indispettiti urlando "vergogna" e additando Mastroianni e il suo personaggio con epiteti deprecabili quali comunista e vigliacco. Fortunatamente poi gli incassi diedero ragione a Fellini, consacrando La dolce vita tra i maggiori incassi del cinema del Belpaese. Ma in un Paese come si sa, soprattutto allora, sin troppo legati ai valori cristiani e a chi ne diffonde il Verbo, fondamentale era l'opinione della Chiesa nei riguardi del film, e questa tramite alcuni dei suoi maggiori esponenti si dichiarò favorevolmente, intravedendo nella storia un'aurea di sacralità che, a dire il vero, è interpretabile in diversi modi. E infatti altre voci si levarono dalle curie nazionali, arrivando a denigrare l'Opera felliniana come un esempio di degrado morale che avrebbe potuto assumere ad esempio negativo per le nuove generazioni. Critiche figlia di un'ipocrisia cattolica che, mutata all'apparenza ma non nell'essenza, vive ancora oggi, ma che per fortuna non condussero a nessun problema censorio di sorta. I diversi rimandi religiosi nel film, come il grande raduno popolare per la presunta apparizione della Madonna, non esprimono un giudizio netto sulla "Ingenuità" o meno delle centinaia di devoti accorsi sul luogo, proponendo il dilemma divino nella semplice frase "non importa dove Dio è, ma dove uno lo vuole vedere". Insomma, l'importante è credere perchè conduce a una vita migliore. Che poi Fellini abbia trasformato, scenograficamente parlando, il tutto in una grande battage mediatico, questo non si discosta molto dalla realtà. Più complesso invece il discorso legato all'esistenza poco "cristiana" di Marcello, cui però non si può negare un alone di veridicità impossibile da negare anche per i negazionisti religiosi più bigotti, e che nel bene o nel male ha sempre segnato anche il mondo stesso della Settima Arte.

Immagini e musica

Tra locali notturni, musica jazz che stava inesorabilmente conquistando audience di ogni tipo in locali notturni e cabaret, allegre cenate di uomini dello spettacolo, con tanto di ospitate speciali (un giovane Adriano Celentano si scatena sulle note di Ready Teddy), la figura di Marcello si muove come un solitario antieroe della cultura pronto a cercare qualcosa, trovando barlumi di apparente felicità solo per poi ritornare a quella sua vita insoddisfatta, fatta di rapporti effimeri e rimorsi dilanianti. La cinepresa segue Mastroianni, sempre nel fulcro degli avvenimenti, sempre pronta a scorgere e condurre il suo "umano obiettivo" a nuove mete, nuove situazioni di cui lui stesso sembra esser sorpreso, quasi a scoprirsi mentre le sta vivendo, con una varietà di espressioni che ammalia e cattura empaticamente l'occhio e il cuore dello spettatore, accompagnato un'eccellenza tecnica encomiabile figlia della straordinaria fotografia di Otello Martelli, ancor oggi con pochi eguali. Fondamentale, in un film in cui l'importanza delle immagini ha un ruolo predominante, creando una sorta di simbolismo "semplice" e comprensibile anche da un occhio non particolarmente colto, creando così l'ennesimo legame profondo con la gente comune, che anche senza bisogno di dottorati in critica cinematografica è in grado di cogliere riferimenti e metafore, come nello splendido finale.

Volti e anime

L'importanza dei personaggi in un racconto "corale" di questo tipo è fondamentale, e oltre alla fondamentale scelta di Marcello Mastroianni (per il quale Fellini lottò col produttore Dino de Laurentiis, che voleva un attore americano come Paul Newman per incrementare gli incassi), il regista ha trovato i volti giusti e, fattore più importante, è riuscito ad affibiargli caratteri attinenti e di grande presa sul pubblico. E' impossibile dimenticar ancor oggi la giunonica sensualità di una Anita Ekberg assolutamente incantevole, in un personaggio che non scade nella classica vamp un pò svampita (perdonate il gioco di parole) come avrebbe fatto Sandra Milo anni dopo in 8 e mezzo, ma anzi pur nella sua breve mezzora (o giù di lì), in cui solca lo schermo non si limita ad essere il classico oggetto del desiderio maschile, ma infonde quella personalità volutamente ingenua e ribelle a Sylvia, rendendo la già citata scena della Fontana una pagina immortale di quel sogno chiamato Cinema. Impossibile non citare anche la tormentata prova di Yvonne Furneaux, che regala ad Emma quell'aria sofferta da donna che attende, in costante dubbio e vagiti di autodistruzione, il ritorno del marito di cui sospetta (e conosce) i tradimenti. O ancora il simpatico "cameo" di Annibale Ninchi nei panni del padre del protagonista, con quel suo accento romagnolo che riporta la storia a quelle radici popolari che vivono ancora, e soprattutto, nei dialetti, che lentamente stavano lasciando il posto all'italianizzazione della lingua anche tramite lo storico programma Non è mai troppo tardi condotta da Alberto Manzi che proprio quell'anno prese il via sulla tv di stato.

La dolce Arte

Reggendo su solide fondamenta, sul rapporto tragico e distante tra la cosiddetta classe alta devota alla presunta cultura e ai suoi eccessi, e gli spiccati rimandi alla società nazional popolare, La dolce vita vive perciò di due anime che si contorcono come due corpi nudi in un amplesso e assume in questo modo all'ibrido perfetto che ha segnato un vero e proprio spartiacque, non solo per il Cinema italiano ma per quello del Mondo intero. E ancora oggi il pubblico e la critica, raramente così d'accordo, ne sono entusiasmati in egual misura. Il restauro che gli dedica oggi il Festival Internazionale del Film di Roma è perciò un omaggio alla Settima Arte nella sua globalità più pura e incontaminata, e che se potesse esser definito con una sola parola, sarebbe sicuramente Capolavoro.

La Dolce Vita Il film simbolo del Cinema italiano, a cinquant'anni dalla sua uscita, rivive in un'edizione restaurata. E con esso rivive l'Arte insita in esso, lo specchio di un Italia che non c'è più, reduce da oscuri trascorsi e nel pieno del boom economico. La dolce vita è un insieme di storie e situazioni che attraverso il personaggio di Marcello rappresentano tutti i lati, positivi e negativi, di un popolo come quello italiano da sempre dedito alla religione e al divismo. Lo fa attraverso un protagonista imperfetto e come tale "oggetto" di forte empatia, e situazioni più o meno paradossali che mostrano la trasformazione e le tanti contraddizioni del Belpaese. Tecnicamente eccelso, a livelli ancor oggi difficilmente eguagliabili, e fruitore di interpretazioni memorabili, ha regalato al Cinema delle scene madri ancor oggi di puro culto in ogni angolo del globo. Triste osservare come della lezione impartita da Fellini in questa vera e proprio Opera d'arte, non se ne intravede la più lontana traccia tra i cosiddetti nostri cineasti odierni, in una "vita" che più che dolce si potrebbe definire amara.

10

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