Recensione L'ululato

Riscopriamo insieme il cult horror di Joe Dante su una delle figure classiche della mitologia horror, con la sequenza della trasformazione in licantropo che è passata alla storia del cinema di genere.

Recensione L'ululato
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Il 1981 è stata una grandissima annata per gli appassionati di lupi mannari e leggende ad essi collegati: uscirono infatti nelle sale, a pochi mesi di distanza, due veri e propri cult del genere come L'ululato di Joe Dante e Un lupo mannaro americano a Londra di John Landis. Film che oltre alla iconica figura dell'horror hanno in comune anche la "mano" di Rick Baker, storico truccatore, che ha iniziato i lavori per il film di Dante ma che in seguito alla "scocciatura "da parte di Landis ha abbandonato il progetto nelle mani del suo fido assistente Rob Bottin. La sua mano comunque è ben visibile e ancor oggi questa gemma dell'horror viene ricordata per la prima trasformazione in tempo reale, senza stacchi di montaggio, da uomo a mannaro. Tratta dal romanzo di Gary Brandner, la pellicola ha avuto un buon successo di critica e di pubblico tale da generare ben sette seguiti, quasi tutti distribuiti direct to video e di qualità nettamente inferiore.

Wolf stalker

Karen White è la bella conduttrice di un telegiornale che viene stalkerata da un serial killer di nome Eddie. Cooperando con la polizia, la donna accetta di "incastrare" il suo molestatore, incontrandolo in un negozio di oggettistica porno. Quando vede Eddie alle sue spalle Karen urla, provocando l'intervento dei poliziotti che uccidono l'uomo con due colpi di pistola. Scossa dall'accaduto la anchor woman decide, su consiglio del suo terapista Waggner , di trascorrere un periodo di vacanza in una colonia nel bosco insieme al marito Bill. Proprio il compagno una sera viene morso da un lupo mannaro e comincia a comportarsi stranamente; inoltre lo stesso Waggner e gli altri abitanti della comunità sembrano nascondere un inquietante segreto.

Il patto dei lupi

Un b-movie di serie A, apripista di una nuova via dell'effettistica "classica" ed amato da orde di fan. Dante, da sempre maestro nell'elevare i generi a nuova gloria, non si premura troppo di curare la narrazione che, pur avvincente, si muove comunque su una linea regolare, priva di eccessivi colpi di scena e con dei personaggi abbozzati, semplici statuine dell'archetipo. Tolte quindi divagazioni drammatiche e/o introspettive, L'ululato si concentra sulla pura e sana componente spettacolare e orrorifica, trovando proprio nelle sequenze più violente il suo punto di forza. La suddetta trasformazione "live" in lupo mannaro è ancor oggi in grado di inquietare e conquistare per la sua magnetica morbosità, splendendo di luce propria nel contemporaneo dominio del digitale. Impreziosito da una sotterranea tensione sessuale, che raggiunge l'apice nel bestiale accoppiamento tra Bill e la ninfomane Marsha (una torrida e sensuale Elisabeth Brooks), il film vive su un umorismo nero e quel pizzico di mistero che, tra gli intrighi da setta sovrannaturale e il progressivo (e scontato) rivelamento della verità, ripesca tutti i topoi legati all'iconografia dei licantropi. Con tanto di critica ai media e ad un certo tipo di consumismo tipicamente americano, i novanta minuti di visione scorrono in un lampo, potendo contare su un cast efficace (il film fu il trampolino di lancio della brava Dee Wallace) che annovera tra le sue fila, non certo per caso, il Kevin McCarthy de L'invasione degli ultracorpi.

L'ululato Trentaquattro anni e non sentirli: L'ululato ancor oggi è un godibilissimo horror la cui scena più famosa e passata alla storia del cinema di genere, quella della trasformazione in licantropo, regge benissimo il peso del tempo. B-movie di qualità, figlio di un artigianato ai tempi fresco e vitale, il cult di Joe Dante regala ancor oggi spaventi e inquietudini metaforiche che ben si adattano anche alla nostra contemporaneità.

8

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