Recensione L'intrepido

Antonio Albanese è un intraprendente tuttofare per Gianni Amelio

Recensione L'intrepido
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A Milano, di questi tempi, ogni giorno Antonio Pane va a lavorare, a modo suo.
Già, perché, nello stivale tricolore d’inizio XXI secolo, ormai lontano dal rampantismo dei floridi anni Ottanta che segnò l’ascesa di quelli che sono oggi i cinquantenni capi e dirigenti d’azienda e sempre più popolato di extracomunitari “schiavizzati” e di italiani stretti nella letale morsa del precariato, Antonio si arrangia svolgendo l’immaginario mestiere del “rimpiazzo”; ovvero, prende, anche solo per qualche ora, il posto di chi si assenta, per ragioni più o meno serie, dalla propria occupazione ufficiale.
Un eroe dei nostri tempi, prendendo in prestito il titolo di un noto film interpretato da Alberto Sordi nel lontano 1955 sotto la regia di Mario Monicelli, un uomo a suo modo felice perché capace di accontentarsi di poco, di non lasciarsi andare in un momento di crisi buia e di condividere il pensiero che i soldi non siano tutto nella vita.
Un eroe solitario cui concede anima e corpo un Antonio Albanese liberatosi dei satirici panni del truffaldino Cetto La Qualunque, ma che, separatosi dalla moglie, ha, comunque, un figlio artista di vent’anni, il quale pare sappia suonare il sax in maniera eccellente.

Guadagnarsi il... pane

Quindi, un uomo abituato a effettuare un po’ tutti i lavori, proprio come coloro che glieli assegnano, invece, rispecchiando fedelmente il malcostume maccheronico del terzo millennio, sembrano essere abituati a non pagare, tanto da farlo arrivare a dichiarare “Io non dico che mi dovete pagare sempre... ogni tanto”.
Perché si tratta di un uomo che, passato anche per gli impieghi di pulitore di casse da morto e derattizzatore e a cui piacerebbe molto fare il cartello stradale a ore, da tanto tempo non prende un soldo.
Un uomo, quindi, che incarna perfettamente su celluloide l’odierna figura dell’italiano costretto a ingegnarsi nelle maniere sempre più fantasiose per poter sopravvivere in un mondo in cui non solo un individuo senza cravatta compra e non vende, ma il segreto per diventare ricchi, a quanto pare, è fare felici tutti.
Interessanti, veritiere osservazioni fornite dalla sceneggiatura a firma di DavideDieci inverniLantieri e dello stesso regista Gianni Amelio; il quale, in un primo momento, c’illude di trovarci dinanzi a un’operazione in grado di riallacciarsi alla grande alla tradizione di quella Commedia all’italiana che ha saputo fondere a dovere i toni leggeri volti alla risata con la più o meno feroce critica sociale.
C’illude, giusto, perché, mentre troviamo in scena anche Livia Rossi nel ruolo della inquieta e guardinga Lucia, che nasconde un segreto dietro la sua voglia di farsi avanti nella vita, quello che era partito come interessante elaborato atto a proporre, attraverso veloci ritmi di narrazione, una vicenda trapelante amarezza e abbandono in mezzo alle non eccessivamente drammatiche situazioni proposte, finisce per infiacchirsi strada facendo, rivelandosi, oltretutto, un agglomerato di situazioni che sembrano tutte avere un inizio, ma non una fine.
È evidente, allora, che possiamo tranquillamente parlare di occasione sprecata, compreso il non troppo chiaro epilogo.

L'intrepido Lontano da Cetto La Qualunque e il suo amato pilu, Antonio Albanese si pone davanti alla macchina da presa di Gianni Amelio - regista di Porte aperte (1990) e Il ladro di bambini (1992) - per concedere anima e corpo a un solitario eroe tricolore abituato a (soprav)vivere facendo quotidianamente il “rimpiazzo”. Con la fotografia ad opera dell’infallibile Luca Bigazzi, si comincia benissimo, rispecchiando a dovere quelli che furono gli stilemi della migliore Commedia all’italiana... ma l’insieme non fatica a manifestare presto una certa perdita di controllo sia del ritmo di narrazione che dello script, destinato a rivelarsi non poco confusionario.

5

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