Recensione L'intervallo

L'esordio veneziano di Leonardo Di Costanzo

Recensione L'intervallo
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Primo film di finzione dell’apprezzato documentarista Leonardo Di Costanzo, L’Intervallo, presentato a Venezia e subito in sala con Luce Cinecittà in 21 copie, rappresenta forse una delle sorprese del festival. Semplice nel concetto e nell’impianto logistico - due soli protagonisti e, sostanzialmente, un’unica location - l’opera prodotta da Carlo Cresto-Dina per Tempesta con Rai Cinema e Amka films gode tra l’altro della fotografia di Luca Bigazzi (tra i più amati professionisti del settore, nel panel, tra gli altri, di This Must be the Place di Sorrentino), e della sceneggiatura di Maurizio Braucci, già al lavoro sullo script di Gomorra.

Un ragazzo e una ragazza sono rinchiusi in un lugubre edificio abbandonato, in un quartiere popolare di Napoli. Lei è prigioniera, lui è obbligato dal capoclan a farle da carceriere. Sono giovani, ma fin troppo cresciuti. Veronica (Francesca Riso) scalpita, si ribella, si comporta da donna matura e spregiudicata. Salvatore (Alessio Gallo), timido e remissivo, pensa al quieto vivere e a portare avanti il suo lavoro. Col passare delle ore, la reciproca ostilità iniziale si trasforma in un rapporto di complicità e condivisione.

Elena a Napoli

I due interpreti, giovanissimi e non professionisti, sorprendono per spontaneità e freschezza. Al festival sono intimoriti dall’attenzione che attirano e affrontano le domande della stampa con umiltà: “Mi è piaciuto fare il cinema - dice Alessio - ma non mi monto la testa. Se son rose, fioriranno. Intanto torno a fare il fruttivendolo”. Per Di Costanzo il passaggio alla fiction corrisponde a un viaggio dal realismo del documentario a una narrazione più rarefatta, basata anche su archetipi “che però - dice - non devono diventare stereotipi.

Ci siamo chiesti spesso se la storia fosse credibile, ma poi abbiamo capito che non dovevamo rapportarci alla realtà o alla cronaca. Il canovaccio è reso valido dal richiamo al mito. Il rapimento della donna è una faccenda antichissima, pensiamo al ratto delle Sabine, a Elena di Troia. Del documentario mi porto però dietro i meccanismi e la metodologia: abbiamo fatto molti sopralluoghi e lavorato molto in laboratorio teatrale, preparavamo le riprese come fosse la prima di uno spettacolo. Ma volevo anche preservare la naturalezza dei protagonisti, per cui all’inizio non abbiamo usato la sceneggiatura e abbiamo girato tutto in teatro di posa. Poi ci siamo spostati sul luogo delle riprese e io contavo molto su questo passaggio, pensando che i corpi si sarebbero adattati naturalmente al nuovo ambiente. Ma facevo leggere il copione ai ragazzi molto rapidamente, poi glie lo toglievo e chiedevo loro di reinventare la scena”.

L'intervallo In un festival privo di grosse rivelazioni, L’Intervallo rappresenta una piccola sorpresa e certamente una boccata d’aria fresca. Sorprendono i due protagonisti, giovanissimi e non professionisti, che la mano ferma del regista guida con metodo acquisito da anni di esperienza nel documentario. E la trama semplice permette di concentrarsi sul rapporto umano che lega vittima e carceriere, che infine si trovano entrambi sulla stessa barca, come palesa una toccante sequenza ambientata su una scialuppa abbandonata.

7.5

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