Recensione Killer Joe

Il killer cop McConaughey conquista Venezia

Recensione Killer Joe
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Da un testo teatrale di Tracy Letts, il grandissimo William Friedkin - autore di veri e propri classici della Settima Arte del calibro de L'esorcista (1973) e Vivere e morire a Los Angeles (1985) - aveva già tratto il thriller Bug (2006), interpretato da Ashley Judd e Michael Shannon.
Non stupisce, quindi, che sia un'altra opera dell'attore drammaturgo originario di Tulsa a rappresentare il punto di partenza del suo Killer Joe, al cui centro troviamo lo spacciatore ventiduenne Chris alias Emile"Speed racer"Hirsch che, dopo aver scoperto che la madre, odiata da tutti, gli ha rubato una scorta di droga, si trova a dover rimediare seimila dollari per non trasformarsi in un uomo morto. E, considerando che la donna ha un'assicurazione sulla vita che potrebbe coprire il suo debito e fare ricco il padre Ansel, interpretato dal Thomas Haden Church di Spider-man 3 (2007) e convivente con la figlia Dottie e la nuova compagna Sharla, rispettivamente con le fattezze della Juno Temple de Lo stravagante mondo di Greenberg (2010) e della Gina Gershon di Showgirls (1995), viene ingaggiato per ucciderla il poliziotto killer Joe Cooper, cui concede anima e corpo Matthew"Sahara"McConaughey.

Vivere e morire nel Texas

Aggiungiamo che Cooper, non potendo avere un pagamento anticipato da Chris e Ansel, tiene come caparra sessuale Dottie - oltretutto vergine - finché non avranno ottenuto il denaro e pagato il compenso, per far risultare subito chiaro il quadro di una folle e tutt'altro che psicologicamente stabile famiglia costituita da grotteschi personaggi.
Grotteschi quanto il bad cop di turno, incarnato da un McConaughey che, come dimostrato già ai tempi del brutto Non aprite quella porta 4 (1994), sforna le sue migliori performance proprio quando si cimenta in ruoli negativi.
Del resto, il plot, fortemente debitore nei confronti di quello che fu alla base di Blood simple-Sangue facile (1984) di Joel ed Ethan Coen, non sembra lasciare nessuno spazio né ad individui positivi, né alla speranza; mentre s'immerge in una polverosa ambientazione che, se da un lato non può fare a meno di richiamare alla memoria il filone western, dall'altro ricorda tanto un certo cinema anni Settanta, con Sam Peckinpah in prima fila.
Perché è vero che, tenendo in considerazione la notevole cura degli splendidi e sboccatissimi dialoghi, non privi d'ironia, l'associazione che viene spontaneamente da fare è con i film di Quentin Tarantino e Robert Rodriguez, ma è soprattutto con lo stile dell'autore de Il mucchio selvaggio (1969) e Cane di paglia (1971) che la pellicola di Friedkin presenta maggiori affinità.
Per circa 103 minuti di visione che, impreziositi dall'ottima fotografia di Caleb"La passione di Cristo"Deschanel, possiedono il grande pregio di tenere continuamente in tensione lo spettatore attraverso il quasi esclusivo ricorso alla parola, pur senza risparmiargli diversi colpi bassi a suon di cruda violenza. Fino ad inevitabili, inaspettati risvolti di sceneggiatura e alla già cult sequenza disturbante della coscia di pollo, la quale - non per fare i bigotti - rischia, però, di apparire gratuita quanto alcuni dei nudi femminili integrali presenti.

Killer Joe Giustamente osannato autore de L’esorcista (1973), William Friedkin parte da un testo teatrale di Tracy Letts per raccontare la violenta avventura di una grottesca famiglia americana alle prese con un altrettanto grottesco poliziotto killer ingaggiato per un omicidio che farà ottenere a tutti un’ingente somma di denaro. Per circa 103 minuti di visione che, altamente violenti ed immersi in una polverosa ambientazione, puntano su splendidi dialoghi tenendo sempre in tensione lo spettatore e senza concedere alcuno spazio a personaggi positivi. Fino ad un inaspettato epilogo aperto.

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