Recensione Jersey boys

Clint Eastwood racconta successi e drammi dei Four seasons nel suo nuovo film da regista

Recensione Jersey boys
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Che si tratti dei britannici Beatles, con i loro capelli a caschetto e l'impeccabile divisa da bravi ragazzi in abito elegante, o dei californiani Beach boys, caratterizzati dalle classiche paffutelle facce rassicuranti corredate di camicia a righe, le band musicali emerse tra il periodo rock'n'roll e doo-wop degli anni Cinquanta e quello beat del decennio successivo (ma non solo quelle) sembra che abbiano quasi per tradizione più o meno nascosti scheletri nell'armadio celati dietro le immagini apparentemente perbene mostrate in pubblico.
Ma, tra chi ha avuto immancabili esperienze con alcool e droga e chi, addirittura, annoverò tra i propri amici il Charles Manson responsabile del massacro di Bel Air in cui perse la vita la Sharon Tate moglie del regista Roman Polanski, non sono certo mancati coloro che hanno avuto origini legate direttamente alla delinquenza di strada; come i Four seasons che incisero la Rag doll conosciuta dalle nostre parti soprattutto nella versione dei Pooh Quello che non sai e nei confronti dei quali Clint Eastwood osserva: "Mi è sempre piaciuta la musica dei Four seasons, quindi sapevo che sarebbe stato divertente rivisitarla, ma quello che più mi interessava era che questi delinquenti, poco più che maggiorenni, cresciuti certo non nella migliore delle situazioni, fossero riusciti a raggiungere questo enorme successo. Cresciuti in una periferia gestita e controllata dalla mafia, vivevano di piccoli crimini. Alcuni di loro hanno anche passato del tempo in prigione. Poi è arrivata la musica, la loro salvezza per uscire da quella situazione. Avevano trovato finalmente qualcosa per cui valeva la pena lottare".

I delinquenti del rock’n’roll

Perché è proprio il vincitore del premio Oscar per Gli spietati (1992) e Million dollar baby (2004) a partire dal musical di successo Jersey boys - aggiudicatosi un Tony Award e diventato uno degli spettacoli più longevi della storia di Broadway - per raccontare la vita dei quattro giovani che, provenienti dalla parte malfamata del New Jersey, hanno formato il leggendario gruppo cui si devono hit del calibro di Sherry e Walk like a man, oltretutto sfruttate all'interno di non poche colonne sonore di film.
Le Sherry e Walk like a man che, ovviamente, ascoltiamo anche nel corso delle oltre due ore e dieci di visione; le quali riprendono dalla produzione teatrale John Lloyd Young, Erich Bergen e Michael Lomenda per riaffidargli nuovamente i ruoli del frontman Frankie Valli, del cantautore Bob Gaudio e del bassista Nick Massi, ponendo al loro fianco il Vincent Piazza di The assassination - Al centro del complotto (2008) nei panni del chitarrista Tommy DeVito, responsabile, con la sua capacità di essere pronto a tutto pur di sopravvivere e fare bene, sia di alcuni dei primi guadagni del quartetto che di tante grandi sconfitte.

Quei bravi ragazzi... degli anni Cinquanta!

Del resto, è dell'elemento più scapestrato del poker che si tratta, ovvero quello maggiormente legato agli aspetti malavitosi dei retroscena fourseasoniani che, appunto, hanno spinto il produttore di The departed - Il bene e il male (2006) Graham King ad affiancare Tim Headington, Robert Lorenz e lo stesso Eastwood nel finanziamento dell'operazione.
E, non a caso, man mano che, a partire dal 1951, si provvede a far emergere le diverse personalità dei quattro musicisti, con i due veri talenti della combriccola tranquillamente individuabili in Gaudio e Valli (di quest'ultimo, tra l'altro, viene esposto il problematico rapporto con una delle figlie), è quasi il respiro di un mafia-movie di Martin Scorsese privato, però, della cruda violenza quello destinato ad attraversare l'insieme.
Insieme che l'autore di Mystic river (2003) e Gran Torino (2008), complice il cast in stato di grazia, mette in piedi non solo ricorrendo abbondantemente all'ironia, a cominciare dalla distinzione tra le ragazze di tipo A e quelle di tipo B, ma anche facendolo distaccare da altri biopic a tematica simile quali La bamba (1987) e Ray (2004) tramite la frequente propensione a permettere ai protagonisti di parlare direttamente allo spettatore.
Uno stratagemma suggerito probabilmente dalla derivazione teatrale della pellicola, ma che si rivela non poco efficace al fine di alleggerirne spesso il tono generale; tanto che, tra una Bye bye baby ed una esibizione presso il popolare Sullivan show, mentre scopriamo che l'ispirazione per concepire Big girls don't cry è arrivata da una frase pronunciata ne L'asso nella manica (1951) di Billy Wilder e c'è anche il tempo di ascoltare una rivisitazione di My boyfriend's back delle Angels, il ritmo narrativo appare talmente incalzante da far scorrere via in maniera piuttosto veloce l'interessante e tutt'altro che breve spettacolo su celluloide.
Spettacolo oltretutto impreziosito dal personaggio del gangster Gyp DeCarlo, cui concede anima e corpo l'infallibile Christopher Walken che, curiosamente, interpretò Il cacciatore (1978) di Michael Cimino comprendente nella soundtrack la Can't take my eyes off you scritta proprio da Gaudio - in collaborazione con Bob Crewe - per un singolo valliano.

Jersey boys A tre anni da J. Edgar (2011), Clint Eastwood sfodera un altro biopic al cui interno, tra l’altro, trova anche il tempo di auto-omaggiarsi per mezzo dell’inserimento di un televisore acceso che trasmette Gli uomini della prateria, serie destinata al piccolo schermo da lui interpretata tra gli anni Cinquanta e Sessanta. Perché è proprio in quel periodo che si svolge il suo Jersey boys (2014), che, tratto dall’omonimo, popolare musical teatrale, intende raccontare i successi e i poco “puliti” retroscena del quartetto dei Four seasons, responsabili di storici hit del calibro di Big girls don’t cry e Rag doll. La stessa Rag doll che accompagna i titoli di coda di un coinvolgente elaborato che, al di là della splendida colonna sonora, individua nell’ironia e nell’ottima prova del cast due dei principali elementi cui si deve la sua riuscita. Tanto che, mentre ci si diverte, si canta insieme ai protagonisti e c’è anche il tempo di assistere ai loro drammi, sorge spontaneo pensare che il mitico “buono” di Sergio Leone sia tornato decisamente alla grande dietro la macchina da presa.

7.5

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