Recensione J. Edgar

La legge di Clint... e Di Caprio

Recensione J. Edgar
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"J. Edgar Hoover è stato un agente di prim'ordine, un ‘G-Man' eccellente, come li definivano a quel tempo, ma non sapevo molto di lui. Era un uomo che viveva ad alto livello - spesso in compagnia di attori e di scrittori famosi in occasioni mondane - ma in molti modi era anche un enigma".
Cresciuto durante gli anni del suo "regno", l'attore e regista Clint Eastwood ricorda così colui che fu un personaggio complesso e interessante che ha affascinato l'America e la cui eredità viene percepita ancora nei corridoi dell'edificio dell'FBI a lui intitolato. Colui che, temuto e riverito, è stato il catalizzatore della scienza forense moderna e ha creato un sistema di leggi federali che ha trasformato gli Stati Uniti in molti modi ancora attuali, rappresentando una dicotomia i cui aspetti pubblico e privato hanno suscitato voci e supposizioni ma la cui questione di chi fosse realmente rimane ancor oggi molto controversa.
Perché, dopo lo sportivo Invictus-L'invincibile (2009) ed Hereafter (2010), volto a indagare cosa accade in seguito alla morte, è proprio sulla vita di questo interessante personaggio che si concentra tramite J. Edgar, sceneggiato dallo stesso Dustin Lance Black che aveva curato lo script di Milk (2008), diretto da Gus Van Sant e interpretato da Sean Penn.

Clint, il caso Hoover è tuo

Ed è Leonardo Di Caprio a concedere anima e corpo all'uomo che teneva non poco a ricevere l'ammirazione da parte del mondo, a capo dell'FBI per circa cinquant'anni, passando per otto Presidenti e tre guerre, divenuto il più potente d'America, senza fermarsi davanti a nulla e lanciandosi in una guerra contro minacce sia vere che immaginarie, tanto da infrangere spesso le regole al fine di proteggere i suoi concittadini e da ricorrere a metodi spietati ed eroici.
Un uomo che dava grande valore ai segreti - in particolar modo a quelli degli altri - e che non ha avuto paura di usare quelle informazioni per esercitare la sua autorità sui leader più importanti della nazione, consapevole che la conoscenza è potere e che la paura crea le opportunità, fino a usarle entrambe per ottenere una influenza senza precedenti e per costruirsi una reputazione formidabile ed intoccabile.
Un uomo schivo che poteva distorcere la verità con la stessa facilità con la quale la sosteneva e di cui Eastwood esplora sia la vita privata che quella pubblica, ponendo Naomi Watts nei panni della segretaria Helen Gandy, la persona a lui più vicina e al corrente di tutte le sue attività, che gli rimase fedele fino alla fine, e Armie"The social network"Hammer in quelli di Clyde Tolson, suo collaboratore più stretto, nonché uno dei suoi amici più cari... ma anche suo amante.

Sesso (omo) e potere

E, in una piccola apparizione, abbiamo anche la Lea Thompson di Ritorno al futuro (1985), mentre la veterana Judi Dench ricopre il ruolo della madre del protagonista, sua ispirazione e coscienza, tra i maggiori pregi di un'operazione che sembra puntare soprattutto sulla prova del cast; con Di Caprio a primeggiare come sempre, seppur penalizzato dal poco curato doppiaggio italiano (ma pare che anche nella versione originale il lavoro sulle voci presenti diverse pecche).
Per un insieme che trova anche il tempo di omaggiare Nemico pubblico (1931) di William A. Wellman e La pattuglia dei senza paura (1935) di William Keighley, man mano che sviluppa i rapporti tra i vari personaggi e Hoover, fermamente convinto che il male si diffonda quando c'è il degrado morale, che il retaggio di un uomo sia determinato da come si conclude la sua storia e che bisogna sempre ricordare la propria, in modo da non abbassare mai la guardia.
Senza dimenticare di ribadire che l'amore è la forza più grande del nostro pianeta, mentre la fotografia per mano dello storico collaboratore eastwoodiano Tom Stern, come di consueto eccellente, provvede a immergere i circa 137 minuti di visione in un'atmosfera da noir d'altri tempi, con abbondanza di toni cupi e contrasti.
Sono invece l'onnipresente voce narrante che rischia di conferire al tutto un look quasi televisivo e il brutto trucco dell'invecchiato Clyde - decisamente poco distante da quello sfoggiato da Francesco Mandelli ne I soliti idioti - a rappresentare alcune delle note dolenti dell'operazione.
Sicuramente non tra le più riuscite dell'Eastwood del XXI secolo, complice anche un ritmo narrativo che, non sempre incalzante, in più di un'occasione trascina nella fiacchezza la vicenda raccontata.

J. Edgar Con Leonardo Di Caprio protagonista, Clint Eastwood racconta su celluloide la storia di uno degli uomini più importanti d’America, concentrandosi in particolar modo sul rapporto con la madre, con la segretaria Helen Gandy e con il collaboratore Clyde Tolson, insieme al quale avviò una relazione amorosa. Seppur guardabile ed interessante per quanto riguarda il tema trattato, l’insieme rischia, però, di risultare eccessivamente verboso; oltre che penalizzato da difetti quali una recitazione non sempre convincente (a esclusione di Di Caprio e la Dench) e un trucco che lascia alquanto a desiderare. Quindi, un’operazione di certo guardabile, ma che, come già avvenuto per Invictus-L’invincibile (2009) ed Hereafter (2010), spinge a pensare che comincino ad allontanarsi un po’ troppo, per il grande Eastwood, i notevoli risultati raggiunti tramite pellicole quali Mystic river (2003) e Changeling (2008). Speriamo di doverci presto ricredere.

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