Recensione In your name

Dall'Olanda un dramma asciutto che s'insinua potente nelle pieghe di un lancinante dolore umano

Recensione In your name
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Else e Ton sono bellissimi e innamorati. L'attesa e l'arrivo del primogenito rappresentano dunque per la loro giovane coppia il suggello filiale di un idillio amoroso ancora al suo apice. Ma il dramma è pronto a irrompere nel loro quadretto di perfezione, modificando e infrangendo bruscamente l'affiatamento di un rapporto fino a quel momento più che solido, e messo di lì in poi più che duramente alla prova. Un momento drammatico in cui la prospettiva comune e di totale condivisione subirà una rottura indotta dal trauma e condurrà i due innamorati lungo un progressivo processo di distanziamento, nella costruzione di un cammino personale imposto da un'elaborazione del lutto intimo, e (quasi mai) condivisibile. Con In Jouw Naam/ In Your Name (traduzione letterale di in tuo nome), l'olandese Marco van Geffen realizza il secondo episodio della trilogia The Drama of the Happy Family, che racconta l'incubo di persone che vivono nella periferia olandese e che aveva come primo capitolo Among Us. La storia è in effetti una versione nord-europea di quello che è stato un prodotto molto chiacchierato di recente nei ‘corridoi' festivalieri (da Toronto passando per Cannes e fino al recente Festival di Torino), ovvero The Disappearance of Eleanor Rigby dello statunitense Ned Benson. Anche qui, proprio come nel film di Benson infatti, l'elemento drammatico contribuisce alla creazione di quei due punti di vista che Benson ha suddiviso prima in Her ed Him per poi sintetizzare in Them (versione vista allo scorso Festival di Cannes) e che nel film di van Geffen appaiono invece già come il risultato complessivo di un sunto narrativo dove le due prospettive si alternano senza soluzione di continuità nella loro difformità percettiva.

Gli inaspettati bivi del dolore

Vincitore del Prix Arte des Relations Internationales allo scorso Festival di Cannes, In Your Name sfrutta la geometria e la nitidezza dei luoghi (la prima casa di Else e Ton così come quella della periferia in cui si trasferiranno dopo) per far emergere gradualmente il senso lancinante di un dolore che si esterna attraverso l'incapacità (sopraggiunta) di comprendere l'altro e le proprie dinamiche emozionali. Un obiettivo che Marco van Geffen insegue e centra lasciando il giusto spazio (fisico a narrativo) sia alla fotografia dell'idillio sia a quella dell'incomprensione, dell'impasse emotivo e relazionale. Le lunghe sequenze in cui lo splendido pancione di Else diventa rifugio e luogo di prossimità amorosa della coppia, fa infatti da netto contrasto a quello che sarà il successivo conflitto esistenziale fotografato poi, ad esempio nella distanza o incomunicabilità di un rapporto sessuale di due corpi aggrovigliati in una sorta di danza di amore e morte. Proprio quello stesso conflitto tra Eros e Tanathos che il regista olandese pone in risalto attraverso l'amore, il limbo e poi la morte (o forse) la rinascita di un sentimento messo all'angolo dalla distruttiva quanto inattesa prova del destino.
In Your Name sviluppa dunque la prospettiva lui/lei attraverso l'elaborazione di un lutto che da un lato vuole prendersi del tempo per metabolizzare, introiettare il dolore e dall'altro corre a perdifiato verso il tentativo di ricostruzione del proprio nido smarrito, nella speranza di ripartire esattamente dal punto in cui la (quasi) perfetta ‘macchina' della vita umana si è inceppata. Un'estetica elegante ed eloquente condita di poche ma incisive parole, dove sono per lo più i corpi e gli sguardi a parlare e che nella loro prossimità o nella loro incolmabile lontananza raccontano il prologo e l'epilogo di un dramma umano mai così distante, mai così ineluttabile.

In your name Secondo episodio di una trilogia dedicata a storie drammatiche della periferia olandese e intitolata The Drama of the Happy Family, In Your Name ripercorre con precisione estetica e narrativa il prima e il dopo di un dramma famigliare vissuto nella tragica disgregazione del punto di vista, nella scissione di quella comunità amorosa che si manifesta in due prospettive distanti e inconciliabili. Un tema di recente spesso affrontato con approcci e stili diversi (in The Disappearance of Eleanor Rigby ma in buona parte anche nel molto meno riuscito A second chance di Susanne Bier) e che l’olandese Marco van Geffen gestisce con estrema cura di contenuti e forma, allineati nella nitida fotografia di un’idea del bello che lentamente si affianca (e supera) a quella del dolore.

7

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