Recensione In fondo al bosco

Dramma a tinte thriller diretto da Stefano Lodovichi, In fondo al bosco rappresenta il primo caso di produzione originale Sky Cinema distribuita nelle sale cinematografiche di tutta Italia.

Recensione In fondo al bosco
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Cosa è la festa dei Krampus? Si tratta di una tradizione che, ogni 5 Dicembre, da tempo immemore porta gli abitanti di un piccolo villaggio montano a sfilare mascherati da diavoli in un baccanale che dura fino all'alba.
La stessa festa che, nel 2010, ha segnato purtroppo la misteriosa sparizione del piccolo Tommaso Cenci alias Alessandro Corabi, il quale, dopo tante ricerche destinate a far diventare il principale sospettato il padre alcolista - e con precedenti di violenza - Manuel Conci, ovvero Filippo Nigro, viene ritrovato cinque anni più tardi - caratterizzato dal volto di Teo Achille Caprio - in un cantiere della periferia napoletana.
Anche se, in realtà, sebbene il DNA coincida, quel bambino silenzioso e inquietante non sembra essere lo stesso che conoscevano le persone in paese e la madre Linda, incarnata dalla Camilla Filippi di Figli delle stelle; man mano che il plot alla base di In fondo al bosco non può fare a meno di richiamare alla memoria diversi fatti di cronaca nera tricolore d'inizio terzo millennio, dal rinvenimento dei fratellini Pappalardi al rapimento del piccolo Tommy, passando per il caso Franzoni.

Trentinoir

Fatti, comunque, cui si riferisce in maniera del tutto involontaria il secondo lungometraggio diretto dal toscano classe 1983 Stefano Lodovichi, il quale, a due anni dal riuscito Aquadro, del 2013, si sposta stavolta maggiormente dalle parti del genere, ulteriormente coadiuvato dalla produzione di Manuela Cacciamani e della sua Onemore Pictures cui si devono Neverlake di Riccardo Paoletti e Fairytale di Christian Bisceglia e Ascanio Malgarini.
Due titoli in verità molto più vicini all'horror e propensi ad introdurre elementi soprannaturali rispetto a questo, in fin dei conti dramma familiare tinto di thriller ed efficacemente immerso in atmosfere noir, complici la curata fotografia di Benjamin Maier e le scenografie naturali trentine, capaci di divenire non poco minacciose e soffocanti al calare delle tenebre.
Dramma che rivela, però, la tematica del rapporto di coppia turbata da una improvvisa tragedia quale argomento preferito del suo autore, in quanto già alla base del citato esordio; con l'unica differenza che i protagonisti, qui, non sono più due adolescenti ma una coppia sposata.
Esordio da cui, tra l'altro, proviene la Maria Vittoria Barrella che, insieme a Roberto Gudese e Luca Filippi, gestisce un pub locale nel corso della circa ora e mezza di visione costruita su una lenta attesa che rischia inizialmente di spingere a pensare che ci troviamo dinanzi ad un cortometraggio dilatato, per poi rivelarsi, invece, sempre più coinvolgente con lo scorrere dei fotogrammi.
Perché, pur avendo come base di partenza uno script - concepito in collaborazione con il fido Davide Orsini e Isabella"Dieci inverni"Aguilar - non privo di difetti, Lodovichi sfodera una personale cifra stilistica che, proprio come avvenuto nel suo film precedente, tende a privilegiare lo sviluppo dei personaggi al fine di farne emergere i sentimenti per trasmetterli al pubblico.
E lo fa, oltretutto, ricorrendo ad un taglio generale capace di conferire al prodotto un certo respiro internazionale.

In fondo al bosco “Il meccanismo narrativo richiama quello di The prestige di Christopher Nolan. La linea del presente si svolge in parallelo con quella del passato” è quanto spiega Stefano Lodovichi a proposito di In fondo al bosco (2015), sua opera seconda e i cui dichiarati referenti cinematografici sono, inoltre, Roman Polanski, Alfred Hitchcock, Lars von Trier e i primi lavori di M. Night Shyamalan. Un dramma a tinte noir che, al di là delle cupe, a loro modo inquietanti atmosfere di paese, non è un horror, bensì un thriller al cui centro - come nel precedente Aquadro (2013) - abbiamo un rapporto di coppia turbato da una tragedia improvvisa. Tragedia che richiama in questo caso involontariamente alla memoria tanti recenti fatti di cronaca nera, man mano che l’insieme - comprendente nel buon cast il veterano Giovanni Vettorazzo di Lo chiamavano Bulldozer (1978) e Compagni di scuola (1988) - si sviluppa su un coinvolgente crescendo di emersione di indizi volti a condurre alla rivelazione finale... con un taglio internazionale tipico delle produzioni Onemore Pictures, seppur con qualche difetto di sceneggiatura.

6

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