Recensione Il villaggio di Cartone

Il ritorno del Maestro Olmi

Recensione Il villaggio di Cartone
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È indubbiamente affascinante e sempre molto poetico il tocco cinematografico di Ermanno Olmi, maestro di molti. Che anche stavolta, con il suo nuovo Il villaggio di cartone, alza il velo - neanche troppo nascosto - su come il regista (cattolico) intenda il Cristianesimo oggi: una catechesi che necessariamente passa attraverso l'azione, possibilmente un'azione di accoglienza come estremo messaggio messianico. Il villaggio in questione è una chiesa in via di "dismissione", brutta come possono esserlo gli edifici moderni e senza storia, con le pareti scarne dove ogni effigie è stata riposta insieme a quadri e crocefissi. Un tempio da chiudere perché, forse, non ci sono più fedeli che accorrono, o forse perché non ci sono più pastori. È a questo punto che nella dimessa cappella entrano furtivamente donne e uomini migranti, sfuggiti chissà a quale sventura di mare e di terra, bagnati, qualcuna con bambini, qualcun altro con miseri oggetti salvati dalla furia del destino. E qui "come un mucchio di stracci buttato là, sui gradini dell'altare", il vecchio prete (l'intenso Michael Lonsdale, già protagonista di Uomini di Dio), a lungo parroco in quella chiesa che ora non serve più, realizza che da quel doloroso saccheggio potrà avere inizio una resurrezione della propria missione sacerdotale. "Non più, dunque, la chiesa delle cerimonie liturgiche, degli altari dorati, bensì Casa di Dio dove trovano rifugio e conforto i miseri e derelitti. Saranno costoro i veri ornamenti del Tempio di Dio".

La distanza tra fede e umanità

Tornato dietro alla cinepresa a distanza di quattro anni da Centochiodi, dove denunciava come "i libri possono servire qualsiasi padrone" e come "le religioni non hanno mai salvato il mondo né lo hanno reso un luogo migliore”, ora il fresco ottantenne (lo scorso 24 luglio) torna ad esprimere il disagio per una Chiesa, cui ha fatto riferimento per tutta la vita, che non ce la fa a tenere il passo con la Storia, né con chi crede. Ecco allora le immagini di un trasloco tutto di rimessa: non si va da un'altra parte, in un altro posto ma si impacchettano reliquari e ostensori per chiudere definitivamente "il palazzo". “Perché - sostiene - la chiesa dovrebbe essere una casa che accoglie, senza domandare se una persona è credente o no. Dobbiamo liberarci dagli orpelli, aprire le nostre case, altrimenti come possiamo riuscire ad intenderci? Di fronte a un Cristo di cartone tutti si genuflettono ma è troppo comodo inginocchiarci davanti a un simulacro. Dovremmo invece inginocchiarci davanti a coloro che soffrono. La fede? Si ha davvero quando i nostri dubbi pesano più delle nostre convinzioni. Il vero tempio è la comunità umana".
Tra i migranti c'è anche un giovane terrorista incurante di tutta quella sofferenza, che protegge, verrebbe da dire quasi in modo sacrale visto il luogo, una cintura carica di esplosivo attorno alla vita. E' evidente che tra i suoi obiettivi c'è quello di farsi esplodere. «Essere migranti non significa essere santi - spiega Olmi - anzi, dobbiamo sapere che la rabbia di chi non ha più nulla sta esplodendo ed occorre subito correre ai ripari. Come? La parola chiave è 'giustizia', intesa soprattutto come atto d'amore».

Il villaggio di Cartone Meraviglioso Olmi, autore di capolavori come L’albero degli zoccoli, La leggenda del Santo Bevitore e Il mestiere delle armi. Anche se, da un punto strettamente cinematografico, Il Villaggio di cartone presentato fuori concorso a Venezia dove cinquant'anni fa il regista debuttò con Il posto, può lasciare un pochino delusi (troppo didascalico, lento e televisivo), non possiamo sottovalutare la forza del suo messaggio in un momento politico, come quello italiano, che fa del reato di clandestinità una bandiera di ottusità e razzismo. E come non essere d'accordo con lui quando afferma: "Bisogna ritrovare la schiena dritta e spazzare via quei politici di oggi scelti perché disponibili a complicità su cui va steso un velo, non di pietà ma di vergogna". Nel cast anche Rutger Hauer, Massimo De Francovich e Alessandro Haber che affiancano attori non professionisti. "Considerazioni" di Claudio Magris e Gianfranco Ravasi.

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