Recensione Il Tocco del Peccato - A Touch of Sin

Jia Zhang-ke, già vincitore del Leone d’Oro nel 2006, torna con uno spietato ritratto contemporaneo

Recensione Il Tocco del Peccato - A Touch of Sin
Articolo a cura di

Il nome di Jia Zhang-ke, regista e sceneggiatore nato a Fenyang, in Cina, classe 1970, ha attirato una notevole attenzione nel 2006, in occasione della 63ª edizione della Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia, al termine della quale il Leone d’Oro fu attribuito, un po’ a sorpresa, al suo quinto lungometraggio di finzione, Still Life, un desolato ritratto della Cina contemporanea, realizzato con sobrietà e realismo. Ora, dopo una serie di documentari e un’altra pellicola - Er shi si cheng ji - in concorso a Cannes ma inedita in Italia, Jia Zhang-ke è tornato a raccogliere consensi con il suo nuovo lavoro, Il tocco del peccato, presentato alla 66° edizione del Festival di Cannes, dove si è aggiudicato il premio per la miglior sceneggiatura. Un altro affresco, ancora più amaro e caustico, di un paese gigantesco e dalle innumerevoli contraddizioni, in cui dietro la facciata del progresso economico si celano abissi di disperazione e di violenza inauditi.

Cina oggi

Il tocco del peccato (il titolo internazionale, per ammissione dello stesso regista, strizza l’occhio ad A Touch of Zen, cult d’avventura del regista cinese King Hu del 1971) adotta la struttura del racconto corale, proponendo quattro differenti storie ambientate in vari angoli della Cina, dalle quali emerge, in filigrana, il profondo senso di disagio e di ingiustizia che sembra gravare su un’ampia fascia della popolazione cinese. La prima sequenza è già di per sé emblematica del tono del film: in una strada solitaria, tre rapinatori tentano di aggredire un giovane uomo a bordo della sua moto, ma quest’ultimo estrae una pistola ed apre il fuoco su di loro, con implacabile freddezza. Si tratta di uno dei protagonisti delle quattro vicende: un individuo appena tornato nella propria città natale in occasione dei festeggiamenti del Capodanno, e che non esita ad estrarre le armi ogni qual volta lo ritenga opportuno. Un’altra storia, la prima in ordine cronologico, coinvolge un minatore che, in una piccola area rurale, si ribella con furia contro la corruzione dei capi-villaggio. C’è poi una ragazza che lavora come receptionist in una sauna dietro la quale si cela un bordello di lusso per clienti facoltosi; quando tuttavia due uomini la trattano come una prostituta, ignorando il suo rifiuto e sbattendole in faccia il loro denaro, la ragazza lascia esplodere tutta la propria rabbia. Infine, la vicenda di un giovane operaio che, in seguito ad un incidente nella catena di montaggio in cui lavora, abbandona il proprio impiego e decide di cambiare lavoro: inizia a fare il cameriere in un prestigioso ristorante, dove attira le attenzioni di una sua collega, ma questo non basterà a fargli trovare la serenità a cui aspira...

Storie di ordinaria follia

Jia Zhang-ke ha dichiarato di essersi basato su quattro reali casi di cronaca nera, sui quali si è documentato in prima persona per raccogliere il più ampio numero di informazioni possibile. Ecco dunque dipanarsi, nel corso delle oltre due ore del film, quattro storie di ordinaria follia, caratterizzate da una violenza assurda, ma forse non del tutto incomprensibile. Zhang-ke, difatti, si sforza di rintracciare nel malessere sociale - gli squilibri fra ricchi e poveri, l’alienazione dell’essere umano - il germe di un odio feroce, di una tensione sempre sul punto di prendere fuoco, o di un’infelicità radicata che può portare a gesti estremi. Una realtà estremamente cupa, che il regista mette in scena mediante repentini scoppi di violenza, talvolta dai tratti quasi tarantiniani (come nell’episodio della receptionist) e in altri casi maggiormente interiorizzata e sorprendente (si veda l’ultimo episodio). Una scelta cinematografica radicale, a tratti perfino spiazzante, benché in alcune occasioni all’opera di Zhang-ke vengano a mancare quel rigore, quella capacità di mantenere un’assoluta lucidità nello sguardo, che contraddistinguono invece i film di Michael Haneke, in particolare la cosiddetta “trilogia della glaciazione”. E se, in tale prospettiva, alcuni entusiasmi nei confronti de Il tocco del peccato sono apparsi forse eccessivi, Jia Zhang-ke si conferma indubbiamente come una delle voci più ‘stridenti’ e, a conti fatti, di maggior forza del cinema asiatico di oggi.

Il Tocco del Peccato - A Touch of Sin Jia Zhang-ke, già vincitore del Leone d’Oro al Festival di Venezia 2006 per Still Life, torna a mostrarci uno spaccato della Cina contemporanea, delle sue contraddizioni e del suo strisciante malessere attraverso un film dalla struttura corale, Il tocco del peccato, presentato in concorso al Festival di Cannes, in cui il regista intreccia quattro storie di violenza e di morte tratte da reali casi di cronaca.

7.5

Che voto dai a: Il Tocco del Peccato - A Touch of Sin

Media Voto Utenti
Voti: 6
7.2
nd