Recensione Il Soffio

Un alito di libertà, firmato Kim Ki-Duk

Recensione Il Soffio
INFORMAZIONI FILM
Articolo a cura di

Il regista

Una forma cinematografica debitrice alla pittura: non è nuovo questo ibrido tra questi due mondi artistici, basti solo pensare alla folle genialità visiva di David Lynch, regista e pittore. E' anche questo il caso di un altro artista della Settima Arte, il coreano Kim Ki-Duk, ad oggi autore di autentiche "poesie" del cinema contemporaneo orientale. Un cinema fatto di immagini, allo stesso tempo specchio di un'emotività interiore tormentata e decadente, laddove malinconia e sofferenza collidono. Storie catartiche, dove non sempre lo scopo tanto ricercato permette di giungere ad un lieto fine, soluzione anzi rara nelle sue opere. La sua fama ha cominciato a farsi strada in Occidente dall'arrivo di Ferro 3 - La Casa Vuota, una sorta di quasi omaggio al cinema muto (il protagonista, muto, non pronuncia parola per l'intero film), capace di mostrarci le capacità di un nuovo genio della celluloide, vincendo anche il Leone d'Argento a Venezia nel 2004. Sono poi stati riscoperti così anche suoi lavori passati, dal drammatico e crudo Indirizzo sconosciuto (Address Unknown), al duro Bad Guy, alle intense tematiche esistenziali di Primavera, estate, autunno, inverno... e ancora primavera, all'aspro tema della prostituzione giovanile in La samaritana. In seguito nel 2005 l'uscita del difficile (e da alcuni accusato, ingiustamente, di pedofilia) L'arco e della tormentata storia d'amore di Time. La forte carica di violenza psicologica trattata non risulta mai gratuita, ma fa parte di un percorso cui i protagonisti si devono affidare per scacciare i propri demoni interiori, una sorta di quest emotiva il cui finale però non è mai scontatamente felice. Storie di debolezze, persone fragili che cercano un proprio posto nel mondo, sbagliando e ferendo, ma in ultima sede consci dei propri errori. Tutto questo tormento instabile è rappresentato per mezzo di scene visivamente forti, dove tutto l'estro pittorico di Ki-Duk viene trasportato su schermo, creando dei "quadri" di vita di intensa e rara bellezza. La ricerca spasmodica, a volte quasi eccessiva, di unire le immagini ai sentimenti è forse il suo più grande pregio, rendendolo ad oggi un regista unico. L'ultimo suo lavoro, che ha diviso la critica, è Soom (da noi Soffio), presentato in concorso all'ultimo Festival di Cannes.

La storia

In un carcere di massima sicurezza Jan Jin (Chang Chen), condannato a morte, tenta il suicidio. La notizia viene trasmessa al telegiornale, e la giovane scultrice Yeon (Park Ji-a) rimane colpita e affascinata dalla vicenda. La sua vita risulta abbastanza noiosa, nonostante una famiglia apparentemente felice. Tutto cambierà quando scopre il tradimento del marito, che va avanti da mesi. Decide così, con una sorta di affezione morbosa, di andare a trovare in prigione proprio Jang Jin, per regalargli un po' di felicità prima dell'esecuzione della condanna. Ma tra i due nascerà un rapporto del tutto particolare, per altro "spinto" da un personaggio oscuro (lo stesso regista) a capo del complesso carcerario, che osserva tutto attraverso gli schermi di un monitor. Le stagioni si susseguono veloci nell'arco di pochi giorni, per merito di un geniale espediente da parte di Yeon.

Soffio

A chi conosce il passato del regista, Soffio può apparire come una delle sue opere più pretenziose, fin troppo fine a se stessa. Come se il regista a tratti si sia innamorato all'eccesso dei suoi virtuosismi, finendo per rendere il tutto eccessivamente "preparato". Nessuna sorpresa insomma, per i fan del buon Kim. Nonostante ciò, rimanendo un lavoro imperfetto, non mancano i tocchi di classe tipici del regista coreano. Il plot del film è tanto semplice quando insolito: la nascita di un amore impossibile, causato dalle circostanze e rappresentato dal trascorrere delle stagioni. Ed è proprio in questo "movimento" temporale che risiede il grande punto di forza: infatti ad ogni incontro la giovane moglie tradita porterà enormi cartelloni con cui tappezzare la sala d'incontro col detenuto, trasformando un ambiente spoglio e grigio in un arcobaleno di colori, a tema con la stagione scelta. Non è un caso se s'inizia con la primavera, in una sorta di visione autocitazionista di Primavera, Estate, Autunno, Inverno... e ancora Primavera. Oltre a rendere l'ambiente più confortevole, Yeon proporrà anche delle canzoni a tema di grande fascino, sottotitolate in lingua italiana, che però appariranno scomode se non ridicole ad un pubblico poco abituato a tali produzioni. La donna lascerà anche delle sue foto a Jan, che saranno causa di lotte e diatribe violente con i suoi compagni di cella. Soluzioni di grande e potente immaginario visivo, laddove i colori sgargianti delle stagioni rispecchiano i sentimenti contrastati dei due amanti sconosciuti. Se alla fine della pellicola si riuscirà a trovare una sorta di stabilità emotiva (fattore ben raro per lo stile del regista), è nel durante che nascono le maggiori incertezze: soluzioni forzate, esasperate, che fanno perdere qualsiasi senso di genuinità. Se è vero che anche nella passata filmografia di Ki-Duk, i suoi "eroi" erano spinti da motivazioni non sempre chiarissime, qui si finisce per escludere qualsivoglia forma di razionalità. Così allo stesso tempo viene da chiedersi il perchè dello sguardo fisso e immobile dell'invisibile personaggio "controllore" interpretato dal regista stesso, un vizio di trama che lascia aperto più di un buco narrativo. Vi è anche un intimismo forte, memore di Ferro 3, soprattutto nei lunghi silenzi e degli spazi composti solo da gesti o sguardi, elementi in cui l'autore coreano riesce a dare il meglio, raffinando con piccoli tocchi un comparto scenico a prima vista vacuo e inesorabilmente morente. L'essenza più pura del film è la riconciliazione col proprio essere, gettandosi alle spalle le proprie paure e rimorsi, prima della nascita a nuova vita o di una morte imminente. E' un gioco sinuoso, in bilico tra passione e dolore, tra irrazionalità e speranza, tra resurrezione e disillusione. Pur nei suoi eccessi, Kim Ki-Duk riesce ancora una volta a colpire lo spettatore, forse meno duramente che in altri spicchi del suo cinema, ma, come una poesia maledetta, non lascia indifferenti.

Edizione Dvd

La Dolmen Home Video sembra ormai abituata (e sempre più prolifica) alla distribuzione di opere di stampo orientale. Per ciò che concerne il comparto tecnico, abbiamo il video in widescreen anamorfico 1.85:1, con un'ottima qualità dell'immagine, colori nitidi e sgargianti (ed era ciò che la pellicola richiedeva, visti i forti contrasti cromatici).L'audio, in Dolby Digital 5.1 italiano, accompagnato da sottotitoli in inglese e italiano, è pulito soprattutto per ciò che concerne i momenti canori, e per tutto il film non subisce cadute di tono, praticamente perfetto. Nota dolente gli extra, che vedono presenti solo il trailer e qualche breve informazione su regista e attori.

Il Soffio Il soffio del titolo è la liberazione dai propri demoni, l'espellere con un alito d'aria un recente passato da dimenticare. L'ultimo lavoro di Ki-Duk è eccessivo, autocitazionista e fin troppo irrazionale, ma riesce comunque a trasmettere emozioni forti a uno spettatore navigato del suo cinema. Può anche deludere, visto che non raggiunge l'estasi di altri suoi capolavori, ma gli va dato comunque atto di un coraggio emotivo, duro e sprezzante, in grado più di allontanare che di avvicinare, e per questo ancor più ammirevole.

6.5

Quanto attendi: Il Soffio

Hype
Hype totali: 0
ND.
nd