Recensione Il pugile e la ballerina

Due coppie, quattro uomini per un turbolento viaggio nella psicologia virile

Recensione Il pugile e la ballerina
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La complessità dei rapporti maschili: incompresione e solitudine

"Il pugile e la ballerina" è un film indipendente di Francesco Suriano, ma fino ad un certo punto; un lavoro qualificante e moralmente utile ci verrebbe da pensare visto il foraggiamento del Dipartimento dello Spettacolo del Ministero per i Beni e le Attività Culturali.In effetti questo è un lavoro interessante, ma con delle mende che purtroppo lo privano di una certa potenza sociale, di quel "sino in fondo".L'idea è originale: vi sono due coppie maschili di cui la prima Enzo (Enzo Mazzarella) e Fabio (Fabio Mattei) è reale, nel senso che i due attori sono uomini della strada invitati a recitare la loro vita stessa sul grande schermo; la seconda coppia, Osho e Carletto, costituisce una pariglia di turlupinatori sedicenti poliziotti, che vivono di truffaldini espedienti, interpretati invece da due volti noti (o quasi), rispettivamente quelli di Marcello Mazzarella, avvistato in "Nirvana" di Salvatores ed in "Melissa P." e Peppino Mazzotta, attore di fiction di successo.Il film si arrovescia tutto sull'introspezione di queste quattro vite infelici.Sono narrate le ultime 24 ore dei due rapporti in procinto di perdersi.Nella prima coppia (quella della "storia vera") Enzo è un provetto mercante d'arte, mentre Fabio un pugile incapace, vivono insieme da tre anni. Il rapporto è tormentato e complesso perchè Fabio è un omosessuale organicamente innamorato della virilità dell'amico che, invece, è il classico spavaldo tutto palestra e donne quale, nonostante sia lusingato dei riguardi di lui, non ha mai lasciato alcuno spiraglio che potesse sobillare le speranze amorose dell'altro. Ma la temperie è più uraganosa, i due hanno frequenti accaldati scontri che spesso conflagrano in violenza.L'altra coppia vede in Osho il ruolo dominante del duo, un uomo tutto d'un pezzo, forte e col pelo sullo stomaco, interdetto dall'arma per truffa, che fa aggio sul secondo, un inetto sfiduciato, carico di scrupoli e di un'ossedente coscienza .

Realismo e sofisticazione

Sono tutti uomini difficili ed è molto interessante assistere ad un film che tenta delle retrospettive psicologiche conchiuso nel recinto maschile, le donne sono del tutto espunte. L'incapacità di comunicare affiora costantemente in quest'opera prima, i diversi registri linguistici dei quattro producono un virile dramma dell'incomprensione.Registri linguistici che sono peculiarità preminenti dello stile registico.I tempi narrativi si fondono e confondono, la fotografia si mette a servizio della narrazione, ora lo schermo si screzia con toni solari che evidenziano l'inizio del rapporto tra Enzo e Fabio, per poi tralignare in un cianotico grigiore urbano che ben esacerba la miseria del contesto (emotivo). La lentezza del lavoro non fa altro che scandire i tempi morti della vita, suggeriti da una presente voce fuori campo che trascina lo spettatore nei tortiglioni dei protagonisti. Questa funambolica rete di piani temporali che ancheggia senza requie tra cause ed effetti, premesse ed appendici, rende sicuramente difficile la visione, priva il fruitore degli immediati nessi logici che caratterizzerebbero i rapporti e definirebbero i temperamenti dei protagonisti, ma quello di Suriano è un esperimento stilisticamente audace. Il novello regista tenta con questo montaggio nevrotico di restituire il groviglio delle relazioni cariche di richiami, di rancori, di passato, di eventi frustranti che solcano l'emotività dei due. C'è però da dire che tutto questo cozza terribilmente con il disperato realismo del lavoro, da una parte la verità ad ogni costo con tanto di crude ambientazioni carismatiche, dall'altra questa sofisticazione della macchinazione narrativa che sconfessa la genuinità dell'opera; Suriano sembra mettere troppa carne al fuoco e non si accontenta di investigare gli uomini mettendosi a loro servizio, ma vuole farci sapere anche quanto è abile con le telecamere.Il continuo conflitto tra realtà e finzione, una delle chiavi di lettura del lavoro, mira sempre ad affrescare quest' "andro-solitudine" in una trama però un po' troppo debole: rimane tutto sospeso ed insoluto, rimane l'incertezza che pesa come una zavorra. Se questa è stata una scelta precisa di Suriano in effetti non lo si sa, ma è certo che più scioltezza avrebbe consentito al lavoro di essere più assimilabile; il dramma dell'incomunicabilità, così centrale nella cultura novecentesca, tocca anche il regista stesso!E' comunque un buono esordio, difficile, dove anche i malvezzi filmici riescono in qualche modo ad essere letti ed accorpati all'opera che consegue i suoi intendimenti con ansia e compunzione.

Il pugile e la ballerina Suriano riesce a restituire la potenza di un desiderio irrealizzabile, le difficoltà dei compromessi relazionali e sopratutto personali, quando si è costretti a dividersi tra la sopportazione e la ribellione. Il tutto con un linguaggio composito e stridente, di difficile lettura che però tenta arduamente una rielaborazione "gaddiana" del caotico mondo in cui rapporti problematici ed imperfetti devono vivere.

6.5

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