Il Mondo di Arthur Newman, la recensione: Dante Ariola dirige Emily Blunt

Ricominciare da zero con Colin Firth e Emily Blunt: la recensione de Il Mondo di Arthur Newman, la recensione.

Il Mondo di Arthur Newman, la recensione: Dante Ariola dirige Emily Blunt
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Che cosa faresti se avessi la possibilità di ricominciare la tua vita dall'inizio?
Chi è l'Arthur Newman cui fa riferimento il titolo?
Con le fattezze del Colin Firth di Mamma mia! (2008) e Il discorso del re (2010), è il divorziato Wallace Avery, il quale, stanco della propria vita in quanto perennemente in conflitto con il figlio tredicenne ed insoddisfatto della sua situazione sentimentale, decide che è arrivato il momento di dare una svolta radicale all'esistenza acquistando una nuova identità e assumendo, appunto, il nome di Arthur Newman.
Nome con cui intraprende il viaggio verso Terre Haute, nell'Indiana, personale Oz dove, intento a provare a ricominciare da zero, ha la possibilità di lavorare come professionista nel mondo del golf; senza immaginare, però, che i propri piani finiscano per essere scombinati dall'incontro con Michaela Fitzgerald, che, interpretata dalla Emily Blunt di Wolfman (2010), trova svenuta sul bordo della piscina di un motel e si fa chiamare Mike.
Perché, se all'uomo occorre diverso tempo per capire chi sia veramente lei, la folle ragazza impiega soltanto un paio d'ore a smascherare l'imbroglio di Arthur, scoprendo la sua reale identità.

Mai dire Mike

Quindi, è dalla semplice idea di una giovane e scapestrata donna destinata ad irrompere nel quotidiano vivere di un individuo un po' più maturo e mite che il regista Dante Ariola, vincitore nel 2006 del prestigioso premio DGA Commercial Director of the Year e qui al suo primo lungometraggio cinematografico, parte per esplorare il modo in cui due persone pronte a tutto pur di rifarsi una vita riescano a trovare insieme la maniera di assumersi la responsabilità di essere ciò che sono.
Semplice idea che Becky Johnston - sceneggiatrice de Il principe delle maree (1991) e Sette anni in Tibet (1997) - ha messo su carta oltre vent'anni prima della realizzazione del film; lasciando immaginare che sia per questo motivo che, nell'assistere alla romantica vicenda di Wallace/Arthur e Michaela/Mike, non risulti difficile avvertire un certo retrogusto simile a quello di alcuni drammi americani da grande schermo risalenti agli anni Settanta.
In questo caso, però, non sembra essere assente neppure una certa ironia di taglio grottesco, nel corso dell'oltre ora e quaranta di visione che Ariola, pur puntando in maniera principale sull'ottima prova sfoggiata dalla coppia protagonista, confeziona ricorrendo a una non banale regia capace perfino di azzardare analogie intellettuali (citiamo soltanto la sequenza in cui Newman rischia di rimanere soffocato durante un pasto).
Anche se i tutt'altro che incalzanti ritmi di narrazione attraverso cui l'insieme viene messo in piedi spingono in parte a pensare che, con ogni probabilità, l'elaborato in questione possa funzionare decisamente meglio trasmesso in tv nel corso dei caldi pomeriggi estivi.

Il Mondo di Arthur Newman Sto vivendo una vita autentica o anche io ho diverse identità? E’ la domanda che il regista pubblicitario Dante Ariola vorrebbe che lo spettatore si ponesse una volta giunto al termine della visione del suo primo lungometraggio cinematografico, storia romantica tra due persone che tentano disperatamente di reinventare le loro vite e, attraverso il loro amore, trovare il modo di accettare se stesse. Storia romantica rientrante sicuramente nel filone della commedia, ma non priva di un evidente retrogusto drammatico, man mano che, costruita su lenti ritmi di narrazione, viene ottimamente sostenuta dai due bravi protagonisti Colin Firth ed Emily Blunt. Nulla di eccezionale, ma neppure disprezzabile, con ogni probabilità conquisterà soprattutto il pubblico delle lettrici e quello delle “casalinghe televisive” dei pomeriggi estivi sul divano.

6

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