Recensione Il fondamentalista riluttante

Mira Nair a Venezia alle prese col romanzo di Mohsin Hamid

Recensione Il fondamentalista riluttante
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Senza andare troppo indietro nel tempo, possiamo tranquillamente affermare che tutto sia cominciato nel 2007, bene o male una volta terminate le riprese del suo Il destino nel nome-The namesake, quando la cineasta indiana Mira Nair, vincitrice sei anni prima del Leone d'oro alla Mostra del Cinema di Venezia con Monson wedding-Matrimonio indiano, lesse a New York The reclutant fundamentalist di Mohsin Hamid.
Romanzo allora ancora inedito che la entusiasmò non poco, tanto da spingerla già allora a pensare a una possibile trasposizione su pellicola, della quale dice: "Doveva essere un adattamento molto complesso e volevo essere molto coinvolta; fondamentalmente, il libro è un monologo, l'elemento thriller è presente, ma in modo molto elegante. Il finale, poi, è molto ambiguo".
Trasposizione che, quindi, si è concretizzata soltanto in seguito all'uscita di Amelia, lungometraggio attraverso cui la Nair, nel 2009, ha ricostruito la vita della popolare aviatrice Amelia Earhart, prima donna ad aver attraversato l'Oceano Atlantico in volo, e al reclutamento degli sceneggiatori William Wheeler e Ami Boghani, il quale osserva: "Nel romanzo, Mohsin ha magistralmente costruito un thriller su due uomini seduti a un tavolo; Changez è l'oratore eloquente e il lettore occupa effettivamente il posto del suo silenzioso compagno. Non vi è mai una rottura dall'unilateralità del monologo e accenna solo al contesto in cui i due uomini si incontrano".

Presi di... Mira!

Quindi, considerando che il compito principale di regista e sceneggiatori era proprio quello di sviluppare questo contesto, mostrando in che modo i due protagonisti sono arrivati a quel tavolo e rispondendo alla domanda chiave "Perché Changez racconta la sua storia?", ecco nei panni di quest'ultimo il Riz Ahmed che, curiosamente, fu anche nel cast del televisivo 11 Settembre-Tragedia annunciata, diretto nel 2006 da David L. Cunningham.

Già, curiosamente, perché il giovane professore pakistano, dinanzi al giornalista americano Bobby Lincoln, incarnato dall'ottimo Liev Schreiber dei primi tre Scream, racconta del suo passato che, in seguito alla tragedia delle Torri Gemelle, lo vide improvvisamente finire preda dell'alienazione e del sospetto, riportandolo alla sua patria e alla sua famiglia e facendogli cambiare il proprio approccio nei confronti dei newyorkesi.
Oltre che della sua fidanzata americana Erica alias Kate"The skeleton key"Hudson, della quale racconta insieme ai suoi trascorsi di brillante analista di business di Wall Street sotto il suo mentore Jim Croce.

Guerra e Pa...kistan

E sono proprio i duetti (o duelli) verbali con quest'ultimo, cui concede anima e corpo il Kiefer Sutherland amato dai seguaci del piccolo schermo per il suo Jack Bauer del serial 24, a rappresentare uno dei maggiori pregi delle circa due ore e dieci di visione.
Circa due ore e dieci di visione che, con il protagonista destinato a diventare un leader agli occhi degli studenti pakistani e, allo stesso tempo, a essere sospettato dal Governo americano, puntano principalmente su un cast in forma.
Come accade un po' in tutti i lavori della Nair, del resto, la quale, in questo caso, sembra rischiare di far cadere il tutto nella morsa della fiacchezza nel corso del secondo tempo; man mano che ci si chiede se, come esiste un sogno americano, possa esisterne anche uno pakistano.

Infatti, sebbene non risultino assenti occasionali momenti di tensione, il tutto finisce per ridursi a un dramma a sfondo politico che, proprio come il testo da cui prende le mosse, punta in maniera principale sull'aspetto verbale.
Un dramma a sfondo politico che, pur senza ricorrere a un epilogo eccessivamente banale e sfoggiando una buona costruzione della vicenda, da un lato rispecchia i non troppo incalzanti ritmi narrativi della televisione, dall'altro non fatica ad apparire fuori tempo massimo.
Perché è vero che è sempre necessario il messaggio di speranza nei confronti di un mondo migliore e pacifico, ma è anche vero che, sfruttato in un contesto del genere, comincia ad assumere un sapore eccessivamente ed esclusivamente legato a quel sempre più lontano 11 Settembre 2001.

Il fondamentalista riluttante La regista indiana Mira Nair, autrice de Il destino nel nome-The namesake (2006) e di Amelia (2009), parte dalle pagine di The reclutant fundamentalist di Mohsin Hamid per concretizzare su celluloide un thriller a sfondo politico principalmente costruito sul racconto del suo passato che il protagonista Changez fa al giornalista americano Bobby Lincoln. Ovvero Riz Ahmed e Liv Schreiber, ottimi come anche il resto del cast, comprendente, tra gli altri, Kate Hudson e il mai disprezzabile figlio d’arte Kiefer Sutherland. Ciò che ne viene fuori, però, eccessivamente trapelante retorica, pur non apparendo disprezzabile, soffre non poco di un’impostazione generale didascalica quanto i meno memorabili lungometraggi sfornati dal piccolo schermo.

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