Recensione Il Flauto

Il secondo capitolo della trilogia di Capponi sull'aldilà

Recensione Il Flauto
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Con ogni probabilità, non sono in molti a ricordare Butterfly zone - Il senso della farfalla, lungometraggio risalente al 2009 - ma giunto in sala soltanto nel Luglio successivo - che segnò il debutto alla regia cinematografica per Luciano Capponi, proveniente dal teatro e dalla televisione, trionfando presso il XXIX Fantafestival di Roma.
Lungometraggio che, incentrato sul giovane Pietro"Si può fare"Ragusa alle prese sia con un particolare vino capace di condurre nell'aldilà che con un serial killer, insieme ai veterani dello schermo Francesco Salvi, Barbara Bouchet, Armando De Razza e Giorgio Colangeli, incluse nel proprio cast anche l'ex pugile Patrizio Oliva nelle inedite vesti d'attore.
Lo stesso Patrizio Oliva che, nuovamente sotto la regia di Capponi, troviamo qui nei panni di Gennaro Esposito, netturbino morto di fame che, armato soltanto di ignoranza, semplicità e innocenza, finisce per dover cambiare le cose in un luogo in cui le anime attendono, senza memoria, prima di nascere, gestite da una multinazionale di alieni che decidono chi e quando deve venire al mondo, con il progetto dello sfruttamento, il controllo e la globalizzazione totale del pianeta Terra.

Aldilà di Oliva...

Un Patrizio Oliva tutt'altro che disprezzabile e che si cimenta perfino in un momento cantato, man mano che lo schermo si popola di non pochi personaggi grotteschi (citiamo solo il cameriere dal volto coperto di bende) e sexy fanciulle vestite al minimo, a partire dalla Ninetta cui concede anima e gran corpo la esordiente Francesca Ferri.
Perché, in fin dei conti, nel corso della visione risulta quasi impossibile non accostare il tutto a un racconto per immagini di taglio felliniano immerso in terra partenopea che, un po' come la succitata precedente opera del regista, tenta in maniera evidente di proporre cinematograficamente qualcosa di nuovo nell'ambito della produzione tricolore su celluloide d'inizio XXI secolo, ormai sempre più ridotta a soli drammi sociali e commedie.
Come la succitata precedente opera del regista, però, mentre gli effetti speciali, la prova del cast e la confezione tecnica in generale non risultano disprezzabili, l'insieme risente non poco del background da palcoscenico del suo autore, tanto da lasciare tranquillamente intuire che avrebbe funzionato sicuramente meglio come rappresentazione teatrale.
Stavolta, poi, oltre alla non facile comprensione dell'evolversi del favolistico soggetto, a penalizzare l'elaborato sono, tra l'altro, il ricorso a un'ironia totalmente incapace di strappare risate (si pensi solo alla battuta riguardante l'alito, più volte ripetuta in maniera nauseante) e un ritmo di narrazione talmente lento che lo spettatore viene spinto a guardare l'orologio già dopo i soli primi quaranta minuti della quasi ora e quaranta totale.
E, con l'evidente impressione che lo spettacolo sia tirato eccessivamente per le lunghe, assistiamo anche a una breve scena d'amore tra Gennaro e Ninetta che tanto ricorda gli involontariamente comici videoclip di determinati cantanti sconosciuti trasmessi dalle emittenti televisive regionali.

Il Flauto Nelle intenzioni del regista favola non fantasy come una macchia mediterranea che infesta e sbriciola gli stereotipi, si tratta del secondo capitolo - dopo Butterfly zone - Il senso della farfalla (2009) - della trilogia dedicata da Luciano Capponi all’aldilà. L’intenzione di proporre qualcosa di diverso - di taglio quasi felliniano - nell’ambito della cinematografia nostrana d’inizio XXI secolo va sicuramente premiata, ma, nonostante un cast piuttosto professionale ed una non disprezzabile confezione tecnica, il tutto finisce per risultare poco comprensibile e tanto soporifero quanto tirato per le lunghe. Un’occasione sprecata.

4.5

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