Recensione Il Cattivo Tenente - Ultima chiamata New Orleans

Un noir allucinato che racconta l'America di oggi

Recensione Il Cattivo Tenente - Ultima chiamata New Orleans
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Pare incredibile che Werner Herzog, uno dei registi più calligrafici nel moderno cinema (non solo tedesco) sostenga di non aver mai visto il film di Abel Ferrara, a cui la sua ultima fatica si ispira. Per tutti coloro che quindi perorano la tesi del remake una smentita secca, sebbene l'opera di Herzog non possa stornare del tutto, per ovvi motivi, il paragone con il film dell'italoamericano, che rimane evidentemente, se non il film da rifare, quantomeno l'incipit. Il lavoro di Ferrara in effetti è diverso e sebbene la trama rimanga simile, lo spirito d'insieme cambia radicalmente. Se nel lavoro di questi il conflitto nasceva non tanto dalla banalità del male di un tenente della polizia nelle sue funzioni sostanziato da droghe e deliquenza spregiudicata, quanto dal suo essere emotivamente e profondamente cattolico, dal vedere come questo suo violento lato oscuro potesse in qualche modo conciliarsi con le sue ispirazioni religiose, quando proprio tale dissenso interno innervava il film tra epifanie cristiane ed angherie di ogni genere. Vi era tutto il tormento di Ferrara in un film per molti versi inavvicinabile. Herzog, che di tormenti nella sua carriera ne ha anche espettorati ma ben diversi da quelli più moderni e nichilisti del collega in questione, volge tutto in ambienti post-catastrofici come la New Orleans dilavata dall'uragano Kathrina; il tenente viene epurato dai "turbamenti" cattolici che certo non appartengono al tedesco, per votarsi ad un'estasi del male, come lui stesso ha avuto modo di definire, nonostante il finale sia ben più lieto di quello assai più controverso di Ferrara. Sebbene questo sia un film fortemente urbano, come raramente Herzog ha girato, le caratteristiche repertoriali rimangono nitide. Il soggetto in crisi, smarrito a sé stesso, rimane irremeabilmente fuori rispetto alla grigia quotidianeità borghese, sia nella criminosa nerezza del lavoro sia nella relazionalità con l'amore intensissimo vissuto con la prostituta protetta (Eva Mendes). Vien meno il tema del viaggio, sempre focale nelle opere del regista tedesco, quale però non può rinunciare del tutto agli aspetti fauneschi, qui riproposti in chiavi irrazionali tra coccodrilli ed iguane che irrompono sulla scena quasi come fossero graffiti di un passaggio larvato. Le storie imperfette raccontate da Herzog trovano in Nicolas Cage il suo nuovo alfiere, quale non solo eredita il ruolo che già fu di un Harvey Keitel straordinario, ma anche quello di un Kinsky che in queste vesti sicuramente avrebbe dato il meglio di sé in uno dei binomi regista-attore più riusciti dell'intera storia del cinema. Ebbene Cage riesce a dar forma a ciò che il regista chiedeva lui, lo si percepisce dalle costanti improvvisazioni "oltre copione" che l'attore americano ha la forza di sostenere; sempre alla ricerca di un dramma autentico e di un dolore puro e diretto nella sua essenza. L'elemento realista per Herzog ha sempre costituito la sfida del cinema, quasi un "uno contro uno" che ogni componente del cast creativo deve giocare; la sfida fisica, reale di un uomo dinnanzi a tutto questo, come in un'epopea romantica tedesca, retaggio tanto caro al regista. E difatti il peso obliquo delle spalle di Cage, dove l'obliquità fisica è certamente l'ultimo segno di qualcosa di ben più profondo, dove lo sguardo vigile ma spento dello stesso si volge prima di ogni movenza, come se utilizzasse il corpo creando un sorta di corazza attoriale, rivelano la capacità di Cage di improvvisarsi corpo herzoghiano, e non sarà forse nemmeno un caso che la scelta sia caduta su di lui, dati i suoi, ormai lontani, precedenti tossici. Tutto molto diverso dalla pesante malignità e dalla virile vocazione religiosa di Keitel nel film primogenito.

Quando il miracolo diventa meccanica

Un lavoro sferzante con la capacità di uscir dalla stessa metafora, teso a catturare quelle immagini in grado di significare lo stato di civiltà in cui viviamo e che soprattutto insistono sulla costante ricerca dell'uomo di Herzog, cui le ambientazioni, qui urbane ma certo non meno pregnanti delle jungle e delle montagne, altro non sono se non quel "limite" che il regista ha sempre ricercato. Ma nonostante il film trovi la sua storia ed il suo posto nella filmografia del tedesco e dia un'ottima occasione ad Eva Mendes e Cage di riscattarsi da recenti mediocrità, il lavoro non ingrana, rimane la calligrafia, il polso autoriale nei temi, fa di Cage un attore capace, senza però arrivare al capolavoro. Ci si salva, ma l'impresa non è compiuta. Il lavoro di fondo, senze le ossessioni quasi metafisiche di Ferrara, trova difficoltà nella più disciplinata durezza di Herzog, senza il conflitto religioso diventa più difficile spiegare e sostenere il peso della doppia personalità del cattivo tenente, insopportabile carogna ora, convertito morale poi. Tutto rimane dentro ad un materialismo, certo foriero di introspezioni più spesse, un po' stantio. Non ci sono quindi colpe e perdoni ad affliggere nessuno (e di questo gliene siamo anche grati) ma non c'è neanche niente che sostituisca questi meccanismi interni che sono alla base di un lavoro che qualcosa ha da comunicare, vale a dire Herzog anzi che sostuire i tormenti di Ferrara con i suoi, o di arricchirre l'uomo con le sue argomentazioni, semplicemente si limita a togliere i corto circuiti del suo predecessore. Rimane quindi un film un po' impastato, quasi scolastico, senza conflitti scavanti. Il delirio cristiano semmai è sostuito dal delirio tossico e dalle umide atmosfere di periferia esistenziale in cui vengono catapultati i protagonisti, certo un'asse ben meno portante di quanto ci si potesse aspettare. La scesa negli inferi tra allucinazioni e violenze si risolve in una risata dal gusto tutto novecentesco, quando grandi scrittori (Kafka su tutti) hanno risolto molto dando un potere abnorme alla sinistra risata, ma nell'arte dell'immagine questo non può bastare, la calligrafia di Herzog in questo modo finisce in un'oleografia isterica. Anche vedere Cage come una sorta di Cristo moderno senza redenzione che incarna i mali attuali, pare troppo indulgente, troppo lezioso e moralmente furbetto. Il miracolo di Ferrara diventa meccanica in Herzog. Questi elimina il misterioso, il nascosto, tutto è portato alla luce del sole, la cupezza e la disperazione dell'uomo complesso diventano quasi caricatura, non senza risvolti da humor nero, spiegate ed inspiegabili. Rimane quindi un'opera certamente controversa che paga tremendamente lo scotto col suo predecessore nonostante le dichiarazioni un po' protettive del regista (meccanica per altro identica a quanto fatto col suo celebre Nosferatu in riferimento quella volta a Murnau).Ferrara è intransigente, ma a giro di posta le sue dichiarazioni "se non hai idee originali, allora lascia stare il mio film. La verità è che non hanno le palle neanche solo per avvicinarsi a quel film" suonanano sì mordaci e forse anche un po' ingenerose, ma sicuramente non prive di ragioni.

Il Cattivo Tenente Il regista sostiene che l'interesse per il noir nasca dalle potenzialità metaforiche che questo possiede, dalla capacità di poter trasfigurare l'America odierna in pochi stereotipi. In effetti il lavoro sul segno è importante: Cage zoppica, si distorce e s'intossica, così il regista vede gli US, in una specie di Riccardo III moderno. Le allucinazioni animalesche, striscianti, ci ricordano che il film è di Herzog quale difatti elimina le salvezze e le redenzioni di Ferrara lasciando tutto al più laico caso, volgendo lo sguardo più sul sociale che sull'antropologico. Posizione piuttosto originale nel tedesco. Il risultato finale però pare contoverso ed imperfetto poichè tutti questi cortocircuiti senza una profondità intima all'uomo non più disperato, ma qui orrendo, non reggono. Il caso non basta e la sociologia soccombe. Per quanto Cage si impegni sinceramente ed in fin dei conti anche riesca nella parte del corpo herzoghiano narcotizzato ed allucinato, manca l'atmosfera tutta umana, per una meccanica senza misteri, quindi senza reale mordente.

6

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