I figli della notte, la recensione del film di Andrea De Sica

Debutto registico di Andrea De Sica, I figli della notte s'immerge in atmosfere da horror per inscenare la rigida disciplina di un borghesissimo collegio.

I figli della notte, la recensione del film di Andrea De Sica
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Con le fattezze del Vincenzo Crea visto in Appartamento ad Atene, Giulio è un diciassettenne di buona famiglia che si ritrova catapultato nell'incubo della solitudine e della rigida disciplina di un collegio per rampolli dell'alta società. Perché, figlio del compianto compositore Manuel De Sica, per il suo primo lungometraggio cinematografico da regista - dedicato, appunto, al padre - Andrea De Sica sfrutta un'idea legata ai suoi anni del liceo e ad alcune persone che gli hanno segnato la vita. Un'idea che immerge in I figli della notte nella sorta di "prigione dorata" isolata tra le Alpi di cui sopra, nella quale vengono formati i "dirigenti del futuro" e dove internet è imbavagliato, l'utilizzo del telefono viene concesso per mezz'ora al giorno e, soprattutto, nell'apparente accondiscendenza degli adulti si concretizzano violenze e minacce da parte dei ragazzi più "anziani". Un edificio al cui interno il giovane Giulio riesce a sopravvivere grazie all'amicizia con Edoardo alias Ludovico Succio, altro ospite del posto, insieme al quale inizia oltretutto ad architettare fughe notturne verso un luogo proibito sito nel cuore del bosco circostante.

Non entrate in quel collegio

Luogo proibito in cui fanno conoscenza con la giovane prostituta Elena, ovvero Yulliia Sobol, che, senza esitare a mostrarsi nuda, finisce per rappresentare l'elemento necessario all'enfatizzazione di un erotismo destinato ad incarnare la trasgressione che fa parte, in realtà, dell'offerta formativa; in quanto il collegio è a conoscenza sia del locale che delle fughe e gli educatori vigilano costantemente. Educatori tra cui ilMathias incarnato dall'ottimo Fabrizio Rongione de La prima linea; mentre l'arrivo nel citato night club viene abilmente descritto in maniera non distante da quella di una vera e propria discesa negli inferi, tra un ossessivo, martellante quattro quarti della musica, individui poco rassicuranti e fotografia trasudante un caldo colore rosso, in netto contrasto con il freddo bianco della neve negli esterni. Una scelta che richiama inevitabilmente alla memoria i cromatismi del Suspiria di Dario Argento, autore verso i cui lavori sembra guardare con insistenza I figli della notte, pur non rientrando pienamente nel filone del thriller a tinte horror. Del resto, l'avvolgente, cupa atmosfera di desolazione ed abbandono finisce per rappresentare, indubbiamente, uno dei maggiori punti di forza di una oltre ora e venti di visione che, nonostante il morto pronto ad essere lasciato a terra e la ricca presenza di lunghi corridoi proto-Shining, rimane classificabile, in fin dei conti, all'interno del filone drammatico. E, se durante la lenta evoluzione della vicenda - oltretutto accompagnata da Ti sento dei Matia Bazar inclusa nella colonna sonora - si prova più volte l'impressione di trovarsi dinanzi ad un cortometraggio dalle pretese autoriali dilatato e girato, però, alla maniera del prodotto di genere di tensione, provvede l'inaspettato e piuttosto duro colpo di coda conclusivo a rivelarla definitivamente un convincente attacco in fotogrammi alle disgustose malefatte di una borghesia pulita e innocente soltanto per quanto riguarda il suo lindo lato esteriore. Sicuramente, non per palati facili e inadatto a chi è in cerca di semplice intrattenimento, ma nient'affatto bocciabile.

I figli della notte L’anima è fatta di cose di cui non riesci a sbarazzarti. È soltanto una delle interessanti osservazioni trapelanti dallo script de I figli della notte, opera prima che risveglia non pochi ricordi nella mente del cinefilo irriducibile, da Fuori dal coro - Boychoir con Dustin Hoffman all’austriaco Hotel. Fortunatamente, però, rispetto a quest’ultimo titolo ci troviamo dinanzi ad un elaborato decisamente più compatto e meno ermetico che, girato tutto in Alto Adige, fa della sua cupa, avvolgente atmosfera l’elemento di spicco. Fino all’inaspettato epilogo destinato sì a catapultare nel thriller quanto raccontato, ma anche a spingere alla riflessione nei confronti di determinati, importanti individui al “comando” delle società. Nulla di particolarmente eccezionale, ma lodevole nella confezione e apprezzabile.

6

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