Recensione I Figli della Mezzanotte

Dal best seller di Salman Rushdie arrivano al cinema i figli magici di un'India della speranza

Recensione I Figli della Mezzanotte
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Allo scoccare della mezzanotte del 15 agosto 1947 l'India trova finalmente la sua indipendenza dall'Inghilterra. I mille bambini nati in quella prima ora, figli di un'epoca gloriosa pregna di novità e nuove speranze e cristallizzata nell'immagine di un festoso fuoco d'artificio sono i cosiddetti figli della mezzanotte, protagonisti dell'inizio di un momento topico nella storia dell'India, destinata ad attraversare numerose vicissitudini (dalla lotta tra Pakistan orientale e occidentale alla nascita del Bangladesh passando per la dichiarazione dello stato d'emergenza indetto da Indira Gandhi) prima di diventare una repubblica democratica. All'interno di questo percorso storico e sociale s'intrecciano le storie dei figli della mezzanotte, in particolare quelle di Shiva e Saleem, scambiati di culla da un'infermiera rimasta influenzata dalle parole di un anarchico "fai che il ricco sia povero e che il povero sia ricco" e convinta di fare un atto di giustizia sociale. Ed è così che Shiva, figlio di una coppia benestante, finirà per crescere senza un soldo accanto a un suonatore ambulante divenendo aggressivo e vendicativo, mentre Saleem prenderà il suo posto in una ricca e accogliente famiglia e accettando passivamente la sua sorte. Le loro vite sono comunque destinate a intrecciarsi più e più volte, assieme a quelle di tutti gli altri bambini della mezzanotte, tutti dotati di un qualche potere straordinario: dal fiuto prodigioso dello stesso Saleem alla capacità di rendere invisibile le cose della bella strega Parvati, la figlia della mezzanotte il cui destino sarà indissolubilmente legato a quello di Shiva e Saleem.

Il (rin)tocco del realismo magico

Partendo dal celebre romanzo di Salman Rushdie la regista indiana Deepa Mehta (Water) adatta per lo schermo una vicenda che si dispiega attraverso i momenti cruciali della storia dell'India moderna, dall'indipendenza in poi, percorrendo parallelamente le vicissitudini dei cosiddetti figli della mezzanotte. Lungo i 148 minuti di film Mehta incrocia dunque storia privata e storia pubblica alternando il racconto degli eventi della Nazione in profondo cambiamento a quello dei due bambini assegnati uno al destino dell'altro. L'alternanza di piani narrativi corrisponde anche ad un'alternanza di registri in cui lo pseudo-realismo della narrazione storica intreccia il realismo magico delle vicende dei figli della mezzanotte, tutti legati da un filo magico che unisce il loro destino a quello della nazione. Certamente non facile rendere su schermo il complesso romanzo di Rushdie, colmo di immagini e di intime percezioni legate al sentimento della propria terra. Deepa Mehta (anche lei - come Rushdie - indiana espatriata) realizza un film epico, visivamente attraente che stenta però a condensare in più di due ore di pellicola le oltre cinquecento pagine e rivoluzioni del libro. Tanti (troppi) i personaggi in un arco temporale (anch'esso) molto ampio contribuiscono a diluire la forza del film che si perde, con il passare dei minuti, nella grande mescolanza di elementi narrativi. La grande forza visiva di alcune immagini e le descrizioni di alcuni momenti cruciali (che dimostrano la sensibilità artistica di Deepa Mehta) non bastano dunque a fare de I figli della mezzanotte un film all'altezza delle aspettative, perché se da un lato le vicende storico/politiche che fanno da sfondo sono solo abbozzate, neanche l'odissea umana del protagonista Saleem Sinai e dei suoi ‘fratelli' riesce a creare la giusta empatia con lo spettatore, perché infine troppo frammentaria (sia dal punto di vista temporale sia dal punto di vista dei luoghi). Dall'incontro tra lo scrittore Salman Rushdie (che firma la sceneggiatura) e della regista Deepa Mehta viene così fuori un film ibrido, (troppo) ricco di storie e sensazioni e proprio per questo poco capace di arrivare al pubblico, specie se non particolarmente addentro alle vicende di cui si narra.

I figli della mezzanotte La regista indiana Deepa Mehta traspone per il cinema il best seller di Salman Rushdie I figli della mezzanotte, manifesto e grido di speranza di una nazione in divenire. Nel tentativo di restituire per immagini la complessità sia narrativa sia contenutistica del libro, la Mehta realizza un film che tende verso la saturazione di immagini, tempi e personaggi e le buone intenzioni sfumano in un prodotto troppo composito per essere facilmente fruibile, in parte visivamente trascinante e in parte un po' confusionario.

6

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