Recensione I due volti di Gennaio

Dal romanzo di Patricia Highsmith un affascinante noir con Viggo Mortensen e Kirsten Dunst

Recensione I due volti di Gennaio
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Patricia Highsmith è stata una famosa scrittrice americana di racconti noir e thriller: è forse questo che conferisce a I due volti di Gennaio, tratto da un suo romanzo del 1964, una patina da noir d'altri tempi, adattato però con canoni narrativi più contemporanei e verosimili. Ad affrontare la prova della sua trasposizione cinematografica è uno sceneggiatore navigato come l'anglo-iraniano Hossein Amini: sua la penna nell'acclamato Drive di Winding Refn, ma anche su 47 Ronin e Biancaneve e il cacciatore. Da una scrittrice dunque la palla passa a uno sceneggiatore di buono smalto, che con questo film debutta alla regia: per lui, un nutrito cast e le meraviglie greche, dal Partenone alle rovine di Creta. L'accoglienza del film, che ha avuto la sua premiere internazionale a Berlino, è stata calorosa - e a buona ragione: il film è un thriller ben riuscito, sempre verosimile e mai artificioso, che tiene sulle spine nel suo on the road di fuga.

Non tutto è oro

Chester MacFarland (un convincente e sovente ubriaco Viggo Mortensen) è un ricco consulente finanziario, in viaggio attraverso l'Europa con la moglie Colette (la bellissima Kirsten Dunst). Si trovano a visitare il Partenone, tubando felicemente, quando incontrano il giovane Rydal (Oscar Isaac), ragazzo americano di origini greche e dal passato incerto. Una serie di casi porterà Rydal, e i suoi occhi famelici che puntano insistentemente sulla bionda Colette, a fare da Cicerone alla coppia a passeggio per Atene, contrattando in greco per i loro acquisti. Tutto sembra andare alla grande, finché un investigatore americano non arriva a rovinare i giochi, rivelando le carte di Chester: truffatore impossessatosi illecitamente dei soldi dei suoi clienti. Il confronto degenera in una rissa che porterà all'accidentale morte del detective. Le cose stanno prendendo una brutta piega: dietro gli scintillanti abiti eleganti di MacFarland si nasconde una fedina sporca, un carattere senza scrupoli, una valigia piena di soldi in contanti e nessun passaporto. La fuga è inevitabile e ad assistere la coppia è Rydal, in parte per convenienza, facendosi pagare profumatamente per i suoi servizi e la falsificazione di nuovi documenti, ma soprattutto attratto da quella scintillante Colette che funge da anomala femme fatale. Morale: i tre si mettono in fuga, nascondendosi a Creta, in perenne movimento in cerca di uno spiraglio di fuga.

Giano bifronte

Il January del titolo originale (The two faces of January) sta per Giano Bifronte, divinità mitologica a doppia faccia, che ha assunto spesso il connotato metaforico dei due volti di ogni individuo, di ciò che è ostentato e della realtà sommersa. Il film ruota tutto intorno al contrasto tra ciò che appare e ciò che è: la tensione scorre palpabile attorno a un escape movie che cerca di sfondare i confini greci per espatriare. Ogni personaggio nasconde il suo secondo volto, a inseguire i tre fuggiaschi non è solo la polizia, ma anche l'ardente gelosia morbosa di Chester, sempre più paranoico verso gli atteggiamenti ambigui di Colette con Rydal, e il fantasma del passato di Rydal stesso, la sua enigmatica figura indecifrabile, sospesa tra la fiducia e l'inganno. Il film si trascina in un latente stato di agonia che tiene alta la tensione per gli avvenimenti, la fuga è resa talmente verosimile a portare inevitabilmente ogni spettatore a fuggire con loro, costringendo a immedesimarsi nel truffatore Chester e nei suoi atteggiamenti discutibili, fatti di alcool e pacchetti di sigarette. Il precipitare degli eventi porta alla deflagrazione del film, tanto più intrigante quanto meno è artificiosa e più appare coerente.

I due volti di gennaio In altre parole: un encomiabile esordio alla regia per Amini, che speriamo continui in questa direzione. Il film si rivela un adattamento ben riuscito, che affronta gli scheletri nell'armadio in suolo ellenico, giocando con figure e metafore della mitologia greca, dal già citato Giano al bracciale dell'immortalità (ironico), dai paralleli della fuga col labirinto di Cnosso alla figura del Minotauro. La stessa Kirsten Dunst viene ritratta più come una musa contesa e vero motore del trio, e non tanto secondo i canoni della femme fatale (dei quali mantiene solo la bellezza ma perde ogni altra caratteristica manipolatrice). Intrigante e worth seeing.

7.5

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