Recensione Hendrix 70: Live at Woodstock

Il mito di Jimi Hendrix rivive in sala a settant'anni dalla sua nascita

Recensione Hendrix 70: Live at Woodstock
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Come si fa a recensire Jimi Hendrix? O meglio, come si fa a recensire Jimi Hendrix in quella che è unanimamente considerata non solo la migliore performance di tutta la sua carriera ma anche uno dei più grandi eventi musicali che la storia del rock ricordi?
In momenti come questo ci si guarda intorno, fuori dalla finestra, tentando di trovare quell'appiglio per dire qualcosa che non sia già stato detto da decine, centinaia, migliaia di altre persone. Ma niente, solo un grande vuoto cosmico e la consapevolezza che, così com'è stata, la storia deve essere raccontata nel modo più semplice e fedele possibile, limitandosi ad osservare i fatti per la propria oggettività piuttosto che commettarli secondo il nostro punto di vista.
In effetti, in pochi - tra noi che ne parliamo e chi ci sta leggendo - erano presenti a quel leggendario Festival di Woodstock tenutosi a cavallo fra il 15 e il 18 agosto 1969 in una piccola cittadina della Contea di Sullivan, nello stato di New York; quei tre giorni che, nell'immaginario collettivo, vengono ricordati oggi come caratterizzati solo ed eclusivamente da 'pace, amore e musica' e che hanno visto milioni di giovani amanti della musica celebrare il proprio status di libertà sulle note di alcuni fra i più grandi artisti mai esistiti. Uno fra questi, appunto, Jimi Hendrix.

70 VOLTE HENDRIX

Il 27 novembre di settant'anni fa nasceva quello che ogni esperto, cultore o anche solo appassionato di musica rock descriverebbe come il più grande chitarrista di tutti i tempi. Hendrix è stato autore di testi, assoli e canzoni che rimarranno scolpiti per sempre nel cuore delle persone che hanno assistito a un suo concerto come i dieci comandamenti sulle tavole della legge consegnate da Dio a Mosè.
A celebrarlo, oggi e soltanto oggi, il documentario che porta per la prima volta sugli schermi tricolore le gesta del musicista originario di Seattle nella sua esibizione al Festival di Woodstock all'alba del 19 agosto 1969, quando ormai il Festival si credeva fosse concluso ma che ha invece offerto, in quelle ultime due ore, quanto di meglio i 200.000 presenti potessero immaginare.
Hendrix chiude il concerto eseguendo, insieme alla sua band, alcuni di quelli diventati in seguito i suoi più famosi classici, da Hey Joe! a Purple Haze, da Voodoo Child a Foxy Lady passando per Fire e concludendo con una straordinaria quanto impietosa rivisitazione dell'inno nazionale americano orchestrato con le sole corde della sua Fender Stratocaster, simulando altresì bombardamenti, mitragliamenti e sirene che in quel periodo divampavano nella sanguinosa Guerra del Vietnam.
A ricostruire il quadro di tutto ciò è lo stesso Michael Wadleigh cui dobbiamo il documentario del 1970 Woodstock: Tre giorni di pace, amore e musica, epico resoconto della stessa manifestazione giustamente premiato con l'Oscar e praticamente un vero e proprio trattato su quanto accaduto nell'arco di quelle mitiche 72 ore.
Avvalendosi del contributo del vincitore del Grammy Award Bob Smeaton, che ha unito segmento per segmento ciò che ha caratterizzato i preparativi e l'organizzazione del concerto, anche attraverso interviste agli autentici responsabili, Wadleigh ripropone la storica performance del chitarrista afroamericano in una versione mai vista prima, con un gran lavoro svolto soprattutto sul comparto audio, cui si deve la riuscita, in particolar modo, all'ingegnere del suono Eddie Kramer, in passato fonico di fiducia dello stesso Hendrix.
Insieme all'Hungarian Rhapsody dei Queen e al Celebration Day dei Led Zeppelin, che hanno entrambi già trovato spazio su queste pagine, il Live at Woodstock di Jimi Hendrix va a comporre un'ideale giostra di concerti 'cinematografici' assolutamente irrinunciabili per chi considera il rock non soltanto un genere musicale ma vera, autentica poesia di vita.

Hendrix 70: Live at Woodstock A settant'anni esatti dalla nascita, il mito di Jimi Hendrix, considerato il più grande chitarrista della storia del rock, rivive solo per oggi sugli schermi tricolore in un documentario che offre, in versione del tutto inedita, il resoconto della sua storica esibizione conclusiva del Festival di Woodstock 1969. Responsabili il premio Oscar Michael Wadleigh, il vincitore del Grammy Bob Smeaton e l'ingegnere del suono Eddie Kramer, che fu, in passato, fonico di fiducia del leggendario chitarrista afroamericano scomparso ormai più di quarant'anni fa.

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