Recensione Heart of a dog

La musicista Laurie Anderson sbarca a Venezia con una pellicola più vicina alla video-arte che al cinema, raccontando(si) in uno strabordante, confuso e arrogante flusso di coscienza .

Recensione Heart of a dog
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Artista a tutto tondo e musicista notissima, Laurie Anderson ha, nel corso della sua lunga carriera, incrociato il suo destino anche col cinema e la televisione e ora, alla non più tenera età di 68 anni, approda al Lido di Venezia, nel Concorso principale, con Heart of a dog, singolare pseudo-documentario decisamente spiazzante. Scritto, diretto e musicato dalla stessa Anderson (con una flebile ma precisa partecipazione del marito Lou Reed, portata avanti prima della sua dipartita), il film è un collage composito di foto e video dall'archivio dell'artista, più alcune scene ricreate ad hoc, che basilarmente vorrebbe portare avanti un discorso sulla morte, sul lutto e sulla vita oltre la morte, partendo da alcuni significativi (per lei) momenti della vita del suo cane e spingendosi fino alla mistica tibetana, alla metempsicosi, al senso della morte ma anche ad altri argomenti (a volte difficilmente relazionabili fra loro) come le fobie, l'ansia, i sogni, l'affezione per gli altri esseri viventi ma anche il terrorismo negli USA e come questo ha cambiato la vita e la privacy delle persone.

"Lo scopo della vita è la liberazione dell'amore"

Il tutto sviluppato come un 'flusso di coscienza' in quella che è più una installazione di video-arte prolungata a dismisura che un vero e proprio film documentario. Lo spettatore viene sballottato di qua e di là in una serie di discorsi talvolta neanche troppo lucidi o chiari, volti con una certa dose di arroganza e supponenza a delucidarci su alcuni grandi temi o a raccontarci di cose che l'autrice presume possano interessare i fruitori della sua opera. Come il suo cane, ormai cieco, che secondo lei starebbe "suonando" (ovvero premendo tasti a caso con le zampe su una pianola elettrica) davanti a un pubblico divertito, o una ripresa a camera fissa del mare, capovolta, virata seppia, con filtro "gocce d'acqua sull'obiettivo" mentre si fanno oscuri discorsi sul senso della vita e appaiono, a schermo, aforismi di celebri scrittori. La qualità dei filmati originali è spesso bassissima, raccordata alla meglio con effetti grafici assai posticci e filtri di ogni genere, sperimentati con l'impressione dell'uso casuale dei pulsanti su un qualche programma tipo After Effects, "cullando" lo spettatore in un mondo onirico, oscuro e a tratti inquietante, narrato principalmente in prima persona con tono perentorio e grave qualunque cosa si stia narrando in quel momento. L'effetto finale è un continuo punto interrogativo sulla testa dello spettatore, che difficilmente riesce a empatizzare con quanto vede a schermo.

Heart of a dog Più video-arte che vero e proprio cinema, Heart of a dog è un lavoro fin troppo personale, oscuro nei significati e nelle tematiche, dilettantesco e fuori fuoco nella narrazione e nella tecnica. Un emblema estremo di quel cinema intellettualoide, hippy e fuori tempo massimo che una volta poteva riempire i salotti-bene e i musei ma che ora come ora appare distante e inutile, autoreferenziale e arrogante.

3

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