Recensione H.

Uno dei tre progetti vincitori della seconda edizione di Biennale College trova un buon equilibrio tra classicità e modernità

Recensione H.
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H., uno dei tre progetti vincitori della seconda edizione del progetto Biennale College - promosso dalla Biennale di Venezia con la collaborazione di Gucci - insieme a Blood Cells e Short Skin, non viene penalizzato in nessun modo dal budget (150.000 euro) e dal tempo limitati a disposizione per la sua realizzazione.
Il film scritto e diretto da Rania Attieh e Daniel Garcia è infatti un'opera ambiziosa e affascinante, che si muove con sicurezza in una dimensione che intreccia mitologia classica, realtà, analisi psicologica e mistero in modo originale e intrigante, suscitando domande e creando un'atmosfera molto particolare e intensa.
L'ambizione di certo non manca ai realizzatori di H., ma i loro sforzi sono stati ripagati da un risultato di ottimo livello che non faticherà a trovare un proprio posto all'interno del panorama cinematografico indipendente a livello mondiale, anche al di fuori dal circuito dei festival e delle rassegne, e l'attenzione del pubblico.

Due vite in parallelo

Helen (Robin Bartlett) è una sessantenne che vive nella città di Troy, a New York, insieme a suo marito Roy (Julian Gamble) e trascorre le sue giornate prendendosi cura di una bambola, una Reborn Doll, come se fosse un vero neonato chiamato Henry. La situazione non è sempre vista di buon occhio da Roy ma la coppia prosegue nella particolare quotidianità creatasi senza troppi intoppi.
Un'altra donna di nome Helen (Rebecca Dayan) vive nella parte opposta della città insieme al suo compagno Alex (Will Janowitz); i due, entrambi artisti, sono in attesa del loro primo figlio.
Le esistenze delle due Helen cambieranno per sempre dopo una strana esplosione nel cielo, seguita da una serie di eventi inspiegabili e dalla scomparsa di alcuni abitanti, tra cui Roy.

Un approccio moderno alla Tragedia

I riferimenti alle tragedie greche e alla mitologia classica sono evidenti fin dall'inizio e gli elementi che vi fanno riferimento sono inseriti nei capitoli che compongono H. in modo intelligente e sorprendente, dando vita a una struttura che sostiene senza difficoltà anche gli aspetti più rischiosi, come quelli al limite con la fantascienza.
Uno dei punti di forza della sceneggiatura è inoltre la scelta di non offrire risposte definite e nette, lasciando spazio all'interpretazione personale, e di lasciare nell'ombra il passato dei protagonisti, tra cui anche il motivo per cui Helen si prende cura di una Reborn Doll.
Un po' come accaduto nella recente serie televisiva The Leftovers, infatti, la narrazione concentra maggiormente la sua attenzione sui cambiamenti che avvengono negli individui dopo un evento dal forte impatto che spesso assume i contorni di una tragedia dai richiami antichi.
L'alternarsi delle due storie parallele, pur essendo chiaro che saranno destinate a incontrarsi a un certo punto, frammenta forse eccessivamente il film, il cui ritmo subisce delle interruzioni significative, fino a una seconda parte in crescendo che conduce rapidamente a un epilogo spiazzante e quasi disturbante.

Realtà e finzione unite in modo originale

L'utilizzo di fatti al limite dell'incredibile ma reali, come la meteora o l'apparizione nell'Hudson della testa di una statua greca, contribuiscono a creare la sensazione di assistere a un'originale analisi dei comportamenti umani che si pone l'obiettivo di andare oltre la superficie e l'apparenza, ma al tempo stesso di provare ad addentrarsi nelle emozioni e nel modo in cui si affronta il destino. Una missione ambiziosa che, tuttavia, Rania Attieh e Daniel Garcia gestiscono con molta sicurezza, firmando un'opera visivamente curata in tutti i dettagli e ricca di spessore. H., inoltre, può contare sulle performance convincenti del proprio cast, in particolare di Robin Bartlett. L'attrice, infatti, non esagera mai nel rappresentare una donna chiaramente segnata da eventi drammatici che ha dovuto crearsi un nuovo equilibrio e un mondo immaginario pur di trovare la forza di sopravvivere.
Suscita interesse, inoltre, l'approccio al mondo dell'arte e delle relazioni sentimentali che, pur non essendo elementi in primo piano, aggiungono spessore alla storia e permettono di ancorare i personaggi alla realtà della società contemporanea.
Nonostante il modo in cui vengono introdotti i momenti sci-fi crei qualche perplessità, il lungometraggio lascia il segno con un'opera dalla personalità ben definita e in grado di far riflettere a lungo sulle tematiche e sulle situazioni rappresentate.

H. H. è un film indipendente di ottimo livello, dalla sceneggiatura originale e dalla realizzazione interessante. Il budget limitato non ha danneggiato il lavoro di Rania Attieh e Daniel Garcia, sceneggiatori e registi del lungometraggio, e si candida a essere uno dei titoli da non perdere per chi è alla ricerca di opere che cercano un approccio originale a tematiche senza tempo e universali.

7

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