Recensione Gli Sfiorati

La confusione dell'oggi di Veronesi e Rovere

Recensione Gli Sfiorati
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Un padre in comune cui concede anima e corpo il Massimo Popolizio di Romanzo criminale (2005) è l'unica cosa che unisce Méte e Belinda: lui, con le fattezze dell'Andrea Bosca di Si può fare (2008), è un giovane ed esperto grafologo, innamorato del carattere di ogni essere umano nascosto dietro la scrittura, mentre lei, con quelle della Miriam Giovanelli di Dracula 3D (2012), è un'adolescente inafferrabile, in bilico tra consapevolezza e scoperta di se.
Da questi due individui che non si sono praticamente mai visti e che, costretti a passare sotto lo stesso tetto la settimana che precede il matrimonio dei propri genitori, decidono che è arrivato il tempo di incontrarsi, parte il secondo lungometraggio del romano classe 1982 Matteo Rovere, il quale esordì dietro la macchina da presa con quel Un gioco da ragazze (2008) che vide Filippo Nigro nel ruolo di un professore alle prese con tre spudorate e pericolose diciassettenni.
Lungometraggio tratto da Gli sfiorati di Sandro Veronesi e sul cui sfondo appare una Roma caotica e inattesa, carica di sensazioni e sorprese, mentre intorno ai protagonisti si muovono continuamente i loro amici, eroi di una generazione che ha avuto tutto senza mai afferrare niente davvero.

Parola di Matteo Rovere

E’ stato Domenico Procacci (produttore del film, nda) a farmi leggere questo romanzo, che prima non conoscevo. Conoscevo diverse opere di Veronesi, ma non Gli sfiorati. Mi sembrava un libro un po’ misterioso: c’era una specie di aura intorno a quel testo, un amore che evidentemente aveva colpito le persone che negli anni lo avevano incontrato tra le loro letture. E così è stato anche per me, fin da subito.

La confusione dell'oggi...

Rappresentanti della confusione dell'oggi con i volti di Claudio Santamaria, Michele Riondino e Asia Argento, sono loro gli sfiorati del titolo.
Ed è proprio sulla loro apprezzabile prova che si reggono principalmente i circa 111 minuti di visione, tanto che, nonostante l'abbondanza di esterni, il respiro generale non sembra distaccarsi poi molto da quello che caratterizza le rappresentazioni teatrali.
Però, sebbene la confezione tecnica non risulti affatto male e Rovere, registicamente parlando, sembri aver fatto (forse) un passo avanti rispetto al succitato, non del tutto riuscito debutto, l'insieme finisce per non convincere.
Colpa forse di una sceneggiatura - a firma dello stesso regista insieme a Laura Paolucci e Francesco Piccolo - che sviluppa il tutto in maniera piuttosto confusa, complice anche il lento ritmo narrativo destinato a trascinare l'insieme nella morsa della noia?
O forse colpa dell'incapacità di proporre nuovi argomenti (e la responsabilità di ciò non va attribuita al solo Rovere) da parte di una cinematografia tricolore d'inizio XXI secolo che non fa altro che proporre giovani abitanti in pieno centro storico romano o, comunque, in lussuose zone della capitale, ricchi o poveri che siano?
Probabilmente, a contribuire in maniera fondamentale è anche quest'ultimo aspetto, testimonianza di una mentalità fastidiosamente radical chic che attanaglia il nuovo cinema italiano... che di nuovo, in fin dei conti, non ha proprio nulla, considerando che, a ogni visione, si prova quasi sempre l'impressione di assistere a malriusciti lavori di Gabriele Muccino.

Gli Sfiorati Per il suo secondo lungometraggio, dopo Un gioco da ragazze (2008), il romano Matteo Rovere parte dalle pagine de Gli sfiorati di Sandro Veronesi, confezionando una non troppo leggera commedia volta con ogni probabilità a far riflettere sulla confusione tipica della generazione tricolore d’inizio terzo millennio. Ma, sebbene la confezione tecnica non risulti disprezzabile, l’insieme appare non molto chiaro nello svolgimento e piuttosto poco coinvolgente, tanto da rischiare di trasformare gli spettatori negli sfiorati del titolo.

5

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