Recensione Ghost Rider: Spirit of Vengeance

Lo Spirito della Vendetta torna in sella

Recensione Ghost Rider: Spirit of Vengeance
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I superpoteri sono, al tempo stesso, un dono ed una maledizione, questa è una delle prime consapevolezze apprese da ogni lettore di fumetti americani seriali. Tale dicotomia viene sfruttata, con grande rigore teorico, soprattutto dalle pubblicazioni Marvel Comics al fine di distanziare i propri protagonisti degli archetipici paladini della concorrente DC Comics (Superman, Batman, Wonder Woman, Lanterna Verde), la cui oltreumanità si istituisce - almeno nella loro versione pre-revisionista - già sul piano di una ferrea e inviolabile morale. Al contrario i personaggi Marvel (Spider-Man, Hulk, Iron Man, Thor) sono soliti intraprendere il viaggio dell’eroe a seguito di debolezze psicologiche ed errori di valutazione etica, dovuti spesso al dolore della perdita o ad eccessi di superbia, rabbia e impulsività. Il motivo d’esistenza del supereroe diviene così espressione di un cammino di redenzione, laddove, attraverso il trascendentale, si tenta di riabilitare la propria umanità, fallibile e imperfetta. Ghost Rider svolge un ruolo singolare tra i tanti eroi dell’universo Marvel dato che, per lui, la maledizione di cui sopra è tutt’altro che metaforica, raggiungendo lo status supereroico proprio a seguito di un Faustiano patto con il Diavolo. Un fattore intrigante e innovativo che pone il supereroe, proprio laddove coniugato con elementi mistici e religiosi, sotto una luce prettamente umanista: l’importante non è da dove provengano le proprie facoltà, il punto è, sempre e comunque, l’uso che se ne fa. Questa - in estrema sintesi - la pulsione base della psicologia di Ghost Rider, un personaggio antieroico e stratificato, atipico anche nell’iperbole narrativa di cui è parte che, al di fuori dei comics, ha avuto modo di traslarsi al cinema due volte, nel 2007, con Ghost Rider di Mark Steven Johnson, e nel 2012, con Ghost Rider - Spirito di vendetta di Mark Neveldine e Brian Taylor.

An old cowboy went riding out one dark and windy day

Il nome iconico “Ghost Rider”, come spesso accade nei fumetti statunitensi, non si riferisce ad un unico personaggio ma diviene filo conduttore di una serie di diverse figure che adottano il medesimo “titolo”. Il Ghost Rider originario è Carter Slade, un eroe western apparso per la prima volta in Ghost Rider 1 (1967) firmato da Gary Friedrich, Roy Thomas e Dick Ayers. Abile cavallerizzo e pistolero il primo Ghost Rider è un personaggio scevro da influenze sovrannaturali, presentandosi come un classico westerner mascherato che guadagna la nomea di fantasma grazie al costume bianco fluorescente che indossa per atterrire i malfattori. Il Ghost Rider più noto e longevo è, però, il motociclista acrobatico Johnny Blaze, introdotto su Marvel Spotlight 5 (1972) ad opera di Gary Friedrich, Roy Thomas e Mike Ploog. A differenza del predecessore le sue storie sono ambientate nel presente narrativo ed hanno una fortissima influenza horror sovrannaturale. Anche solo dal punto di vista grafico il nuovo personaggio presenta notevoli differenze col suo omonimo del west: Johnny Blaze, a seguito di un patto col Diavolo, attuato per salvare il patrigno malato di cancro - che, pur guarito, morirà comunque per un incidente in moto - ogni notte si trasforma in uno scheletro fiammeggiante affamato di vendetta, abbigliato di una tuta nera e a cavallo di una veloce moto da cross.

"L’importante non è da dove provengano le proprie facoltà: il punto è, sempre e comunque, l’uso che se ne fa."

Grazie alla fama raggiunta da questa rinnovata versione “motociclistica” del personaggio la Marvel si trova costretta - per evitare confusioni tra i due - a cambiar nome al Ghost prototipico che diviene prima Night Rider e poi Phantom Rider. Ma l’eredità del centauro fantasma non si esaurisce con Blaze: nel 1990 la Marvel vara un nuovo mensile dal titolo Ghost Rider dove, grazie alla penna di Howard Mackie e alla matita di Javier Saltares, vede la luce un ulteriore Spirito della Vendetta chiamato Danny Ketch, che si scopre maledetto dopo esser entrato in contatto con un amuleto mistico. Iconograficamente molto simile a Johnny Blaze il nuovo Ghost presenta un look che introduce elementi vicini alla cultura “biker” che diverranno inscindibili dal personaggio, come il giubbotto in pelle con spalline e bracciali borchiati, la catena culminante in un gancio come arma e una moto che ricorda una Harley Davidson. Alla lista dei motociclisti dal teschio in fiamme si aggiunge la recente Alejandra che assume il nome e la forma di una muliebre Ghost Rider a seguito della saga Fear Itself (2011), ma trattandosi di storie ancora inedite in Italia ci si limita, qui, al solo nominarla, per non rovinare la lettura a chi segue i fumetti Marvel nella loro edizione nostrana.

Il diavolo nello schermo

Quando Ghost Rider arriva al cinema per la prima volta, nel 2007, è un periodo davvero florido per i comic book movies, specialmente per quelli targati Marvel; quasi tutti i principali eroi della casa editrice hanno già varato il loro franchise di celluloide e, dietro la macchina da presa per il film del centauro fantasma, prende posto lo specialista Mark Steven Johnson, già autore dell’ottimo Daredevil (2003), sempre tratto da un fumetto Marvel. Johnson, consapevole che il cinema dei fumetti si basa su di un processo sintetico, mixa abilmente nelle origini del Ghost/Johnny Blaze echi grafici e narrativi anche del Ghost/Danny Ketch e ritaglia persino una parte al cowboy Carter Slade, fondendo in una le tre figure più rappresentative del personaggio. Oggi, il controverso sequel della pellicola vede la luce in un’atmosfera del tutto differente. Anche qui alla regia troviamo una coppia di autori precedentemente cimentatosi con i comic book movies, tali Neveldine e Taylor, già alla sceneggiatura della debole riduzione filmica del personaggio DC Jonah Hex (adattato in un film omonimo del 2010 uscito in italia direct to video) che serializzano il film di Johnson con quello che loro stessi definiscono un “requel” ossia un ibrido tra sequel e reboot. Se da un lato, infatti, Ghost Rider - Spirito di vendetta può esser considerato come un diretto proseguimento del film del 2007, Neveldine e Taylor riscrivono, leggermente, le origini del personaggio creando una lieve discrepanza col capostipite. Questo riadattamento del materiale originario è compiuto per una maggior adesione con la storia del fumetto: se nel film di Johnson Blaze arriva a firmare il patto col Diavolo per via di un raggiro del Maligno (Johnny si taglia per “sbaglio” con il cartiglio e firma, suo malgrado, la pergamena con il sangue) nella versione di Neveldine/Taylor egli è consapevole e consenziente della sua scelta, avvalorando, così, di drammaticità la genesi dell’eroe e riportandolo più vicino alle sue origini cartacee. Inoltre questo “reboot passivo” è del tutto consono alle strategie industriali compiute più volte dalla Marvel che, a differenza della DC - che sigla i reboot cartacei come tali - si trova a mantenere un flusso di narrazione ininterrotto nel quale, però, doverosamente inserisce modificazioni interne alle storie del passato per renderle via via meno anacronistiche e più appetibili per i lettori contemporanei.

Outsider

Il problema principale di Ghost Rider - Spirito di vendetta è, però, di carattere contestuale, rispetto al contemporaneo status non più così roseo in cui si muovono i comic book movie. Dopo gli scarsi esiti commerciali del Watchmen di Zack Snyder (2009), in assoluto la più avanzata, matura e cosciente delle traduzioni filmiche di un fumetto che, a discapito della profondità dell’opera e dell’alto budget, è stato mal apprezzato dal pubblico, il cinema dei comics ha proceduto verso una brutale banalizzazione per paura che testi troppo elevati potessero scoraggiare il pubblico pagante che, a quanto pare, è ancora vittima del luogo comune che vuole i fumetti coniugati ad un estremo disimpegno. Non potendo, quindi, ripercorrere la strada di Johnson e del suo Ghost Rider epico ma scegliendo, al tempo stesso, di non scendere a patti col versante comedy scaturito dai vari Iron Man 2 (2010), Thor (2011), Captain America (2011), Neveldine e Taylor percorrono la via, degnissima, del b-movie. Ghost Rider - Spirito di vendetta promuove con fierezza il suo stesso stato di cinema outsider, utilizzando tutti i canoni dello spettacolo a basso budget: a differenza del primo film qui è Ghost l’unico personaggio a trasformarsi - con l’esclusione del malvagio Blackout che, comunque, non presenta una mutazione coadiuvata invasivamente dal digitale ma, ancora per amor di B-movie, basata sul make-up materico - le scene d’azione sono assottigliate al minimo (seppur, quando ci sono, appaiono funzionali e d’impatto proprio perché dilazionate), i set, sia gli esterni che gli interni, sono tutti votati al riciclo (il film è girato interamente in Romania, ancora per minimizzare i costi) e, a parte Nicolas Cage che interpreta, nuovamente, il protagonista, non vi sono attori di grido ad avvalorare la pellicola. E si consideri che anche lo stesso Cage, negli ultimi anni, ha abbandonato il passato di interprete di cinema d’autore per reinventarsi felicemente in una sequela di film dal respiro assolutamente popolare che lo hanno reso una vera icona cult. Non è un caso che, a seguito del primo Ghost Rider, Cage si sia cimentato persino nel cinema exploitation con Drive Angry (2011) di Patrick Lussier, un film che potrebbe tranquillamente esser ribattezzato “Ghost Driver” per quanto si imponga, senza nasconderlo, quale remake automobilistico del primo film sul centauro Marvel.

Spirit of Vengeance

Un’opera decisamente controcorrente, dunque, questo Ghost Rider - Spirito di vendetta che preferisce avvicinare il pubblico di cultori piuttosto che la folla plaudente (i fan dei fumetti apprezzeranno soprattutto la presenza di Zarathos, molto vicina alle storie recenti del personaggio) e che, siamo pronti a scommettere, in Italia non piacerà quasi a nessuno. In fondo nel nostro paese non c’è la cultura del b-movie né l'apertura mentale tale per comprenderne i dettami; Ghost Rider non è certo tra i protagonisti dei comics più amati e seguiti; ed esiste, poi, un inspiegabile meme psicologico che ha convinto gran parte della popolazione che Nicolas Cage è un attore di scarsa qualità; e sul versante “autoriale” Neveldine e Taylor sono registi pressoché sconosciuti al grande pubblico.

"Neveldine e Taylor percorrono la via, degnissima, del b-movie. Ghost Rider - Spirito di vendetta promuove con fierezza il suo stesso stato di cinema outsider."

E tutto ciò è un vero peccato, perché siamo di fronte ad un film che, facendosi forza del suo stato di nicchia, impone con fermezza una sua adesione - quasi politica - al rifiuto della commedia e della parodia in favore della semi-serietà volontaria del b-movie, dove tutti, sapendosi parte dell’assurdo e del ridicolo, lo girano e lo interpretano come fosse la più complessa delle equazioni. Su tutto valga la scena (già di culto) della minzione 'infiammata' di Ghost Rider - prettamente contestuale ad un personaggio nato nella controcultura on the road e rock’n’roll anni ’70 e passato, tra l’altro, tra le mani di scrittori pulp come Garth Ennis e Jason Aaron - quale rivoluzione contro l’incontinenza di Tony Stark/Robert Downey Jr che in Iron Man 2 trasforma una pietra miliare del fumetto come Il demone nella bottiglia in una gag che sembra uscita da American Pie.
Che il fuoco della pipì di Ghost purifichi il cinema dei fumetti dalla dissennatezza in cui è caduto da tre anni a questa parte.

Ghost Rider: Spirit of Vengeance Ghost Rider - Spirito di vendetta è un film dedicato, soprattutto, agli affezionatissimi dei fumetti Marvel più di nicchia e di quel cinema di serie B consapevole del suo stesso stato di assurdo. E’ la dimostrazione che può ancora esistere un cinema dedicato agli eroi Marvel esente dall’imbonimento narrativo/figurale dei prodotti comedy Marvel Studios; con una regia non appiattita da dinamiche mass market, e con un corpo attoriale, qual è quello dell’inossidabile Nicolas Cage (che da solo regge il film), che sembra ergersi a contro-emblema dei bellimbusti per le spettatrici quindicenni (per età anagrafica e mentale) usati ultimamente per incarnare gli eroi cartacei. Di certo ben lontano dal film ricco d’azione, entertainment rocambolesca ed effettistica sofisticata che era il predecessore del 2007 ma di gran lunga più sincero, ferale e sanguigno di tutti i comic book movies supereroici dell’anno passato.

7

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