George Harrison: Living in the material world, la recensione

Martin Scorsese firma il suo film-tributo a George Harrison, indimenticato chitarrista dei Beatles. La recensione.

George Harrison: Living in the material world, la recensione
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In occasione del cinquantesimo anniversario dall'uscita del primo singolo dei Beatles Love Me Do, esce al cinema (un evento speciale che prevede solo due date di proiezione - 19 e 23 aprile - e che sarà presto in DVD) il tributo speciale di un grande del cinema a un grande della musica. Martin Scorsese, una delle voci più autorevoli del cinema contemporaneo, firma infatti il suo personale omaggio a George Harrison: uno dei componenti del gruppo musicale più famoso della storia della musica pop, ovvero i Beatles. George Harrison: Living in the Material World (anche titolo del quinto album solista di George Harrison, realizzato all'interno della carriera ‘solitaria' che il musicista intraprese all'indomani dello scioglimento dei Fab Four) è infatti la cronistoria della vita privata e professionale di un personaggio schivo eppure profondamente carismatico che, nonostante l'apparente subordinazione del suo ruolo (il cuore creativo dei Beatles è di fatto sempre stato perlopiù associato ai nomi di Paul McCartney e John Lennon), contribuì senza dubbio a dare vita al successo stellare del celebre quartetto di Liverpool. Martin Scorsese raccorda le oltre tre ore di materiale di repertorio (molto del quale inedito) a sua disposizione con l'abilità del maestro e la devozione del fan senza mai invadere con la sua regia il campo biografico della storia, nel tentativo di ripercorrere l'evoluzione di Harrison dall'immagine di introverso ragazzino diciassettenne col ciuffo ribelle e una sconfinata passione per la chitarra fino alla figura composita dell'artista eclettico (Harrison si cimentò anche nella produzione musicale e cinematografica) stretto tra i lussi di una vita ‘materiale' giunta presto a compimento e il richiamo di una vita spirituale largamente ricercata (per tutta la vita). Muovendosi attraverso le molte testimonianze degli amici più cari del musicista (tra i quali Eric Clapton, Tom Petty, Terry Gilliam, il pilota di Formula 1 Jackie Stewart), le toccanti parole della seconda moglie Olivia e del figlio Dhani o ancora quelle degli stessi Beatles, Scorsese traccia così la parabola umana e professionale di George Harrison, affidando alle note di celebri pezzi relativi alla produzione del quartetto di Liverpool o a quella personale di Harrison (da And I Love Her passando per Here Comes The Sun o My Sweet Lord) e alle parole di chi lo conosceva bene, il compito di far emergere una personalità tutt'altro che comune, a un tempo esuberante e profondamente spirituale. La musica, le droghe, le donne, il cinema, lo stretto legame con il musicista indiano Ravi Shankar, con il quale nel 1971 Harrison organizzò il celebre concerto The Concert for Bangladesh, tutto confluisce in un'opera esaustiva (pensata per il piccolo schermo e dunque suddivisa in due parti per una durata complessiva di circa quattro ore) che trasuda amore e gratitudine nei confronti di un uomo non comune che anche in punto di morte (che arrivò prematura a soli 58 anni) seppe avere una parola di conforto per l'amico e collega Ringo Starr, allora provato dalla malattia della figlia. Un'immagine di estremo altruismo che lo stesso Ringo Starr ricorda con commozione in chiusura di film.

George Harrison: Living in the material world Martin Scorsese racconta Geroge Harrison in George Harrison: Living in the Material World. Un’opera toccante ed esaustiva che narra la parabola di un'artista speciale senza mai scivolare nel terreno impervio dell’agiografia ma che rimane piuttosto ancorata alla genuninità del materiale di repertorio, raccontando senza ergersi a giudice, nel bene o nel male, e che si pone come unico obiettivo quello di regalare ai tanti fan e al grande pubblico in generale una fotografia accorta e molto sentita dell’indimenticato George Harrison.

7.5

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