Recensione Gangster Squad

Gangster e poliziotti nella L.A. del dopoguerra

Recensione Gangster Squad
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1949. Los Angeles è una giungla. Ce lo ricorda il selvaggio opening del film, con la “solita” bella che rischia di essere abusata da alcuni malviventi della gang dominante di LA: ispirato alla storia vera della caccia al criminale Mickey Cohen, il film si inscrive a pieno titolo nel più strettamente codificato genere poliziesco-gangster. Recuperando la realtà americana di fine anni Quaranta ma che ci ricorda la Grande Depressione di due decadi prima. L’idea di partenza è molto interessante. E si confronta con illustri parenti del poliziesco a Los Angeles. Ma l’impianto romanzesco sopra costruito è noioso e già visto.
Cast di grandi nomi in questa pellicola che, nel recuperare una storia di metà Novecento, la mischia a tanta nostalgia retrò, quegli occhi un po’ luccicanti che gli americani hanno verso il loro passato: caldi e saturi colori pastosi, musica d’epoca gracchiante come provenisse da una radio, titoli di coda costruiti sulla sfilata di una serie di stampe in puro stile d’epoca.

WELCOME TO LOS ANGELES

Il film, prima ancora che vera e propria storia della caccia al gangster, tenta di essere identikit dello spirito di una città e di un momento storico.
Al suo interno, un grande cast per una gangster fiction poco convincente: Sean Penn è il temuto boss malavitoso Mickey Cohen, con le mani anche nella politica e nella polizia, ed è molto convincente nel ruolo, agghiacciante nella sua spavalda sicurezza e nel suo macabro stile. Meno convincenti sono Ryan Gosling ed Emma Stone, di cui la sceneggiatura fa un uso fin troppo stereotipato, relegandoli ad uno spazio più strettamente imparentato con la fiction e il melodramma delle spiagge di Santa Barbara, piuttosto che col poliziesco. Si salva Josh Brolin, protagonista del film nei panni di John O’Mara, reduce della Seconda guerra mondiale e vero catalizzatore dell’identità del pubblico, con la famiglia a cui badare e il distintivo da poliziotto cui tenere fede. E proprio intorno al poliziotto idealista e incorruttibile O’Mara viene costituita una squadra di uomini con lo scopo di fermare l’avanzata irrefrenabile di Cohen.

LOS ANGELES. IERI E OGGI

Lo spunto dalla storia di cronaca offre l’occasione per una scomoda peregrinata dantesca nei vizi e nelle corruzioni politico-criminali dell’epoca, come giudizio su ieri quanto su oggi. La penna di Paul Lieberman e Will Beall non riesce però a rendere giustizia ad un canovaccio così delicato quanto a rischio di ripetizione: Gangster Squad è, dall’inizio alla fine, un cliché continuo, inchiodato agli stereotipi del poliziesco e del gangster quasi più dei classici stessi. Tant’è che, se era intenzione degli autori riprendere smaccatamente i parametri tipici del genere come gioco post-moderno sul cinema dell’epoca, si può affermare senza esitazioni che questa scelta ha finito per prendere il sopravvento, diventando imperante ed eccessiva. Prevedibilità tanto estenuata da non crederci, insomma. Cui si va ad aggiungere la delusione di vedere un cast così eccezionale alle prese con una sceneggiatura perennemente indecisa tra i toni più tipici della malavita (che però è ben realizzata solo nelle scene di azione, mentre troppo banalizzata nella gestazione dei piani) e lo stampo melodrammatico che, mescolando fiction e quasi il documentarismo sugli Stati Uniti post-Seconda guerra mondiale, si promette anche di seguire i rapporti di coppia, la famiglia, l’esistenza a un difficile crocevia. Risultato: le energie del film si disperdono in un lavoro male orchestrato, privo di forza, in cui svariati personaggi del coro risultano detestabili, altri fin troppo stereotipati. E con una vicenda da pura macchietta americana: laddove avrebbero dovuto prediligere gli intricati retroscena del potere di Mickey Cohen, dalle strade malfamate ai piani alti della politica, il film si perde a cercare solo scene di azione e rimandi goffi agli Intoccabili di De Palma (il riferimento è ovvio). Ma sembra piuttosto ricadere nella noia anempatica di Nemico pubblico - Public enemies di Michael Mann su Dillinger.

Gangster Squad In sostanza il film parte male nella sceneggiatura, ma la regia recupera poco e non aggiunge il dovuto smalto a questa storia complessa, con le sue montagne russe tra i picchi action e sentimentali. Doppiamente deludente se si pensa a quale vasta tradizione cinematografica e televisiva dovrebbe fare da ispiratore un film che poteva davvero essere un gioiellino: dalla cinematografia sulla sporca e difficile Los Angeles (da Chinatown a L.A. Confidential fino a Vivere e morire a Los Angeles), passando poi per la grande tradizione gangsteristica a stelle e strisce sul grande schermo, viene da chiedersi come possano essere stati commessi errori di tale vacuità, che rendono il film banale, prevedibile, debole e quasi parodistico.

5.5

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