Recensione Gambit

Colin Firth, Cameron Diaz e Alan Rickman sono i protagonisti del semi-riuscito remake, diretto da Michael Hoffman e sceneggiato dai fratelli Coen, dell'omonimo cult britannico del 1966.

Recensione Gambit
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Ci sono voluti quindici anni perché Gambit vedesse finalmente la luce delle sale. Questo remake dell'omonimo classico britannico con protagonisti Michael Caine e Shirley MacLaine è stato infatti in progettazione sin dal 1997, salvo poi venire sempre rinviato per declini di attori e registi. Le riprese hanno così avuto il via libera soltanto nel 2011 (con l'uscita fissata all'anno successivo) con un cast, tecnico e attoriale, di primissimo piano: oltre alle magnetiche presenze di Colin Firth e Cameron Diaz (e uno stuolo di familiari comprimari d'eccezione come Alan Rickman e Stanley Tucci) e alla regia del Michael Hoffman di Il club degli imperatori, la sceneggiatura vanta due firme pesanti quali quelle di Ethan e Joel Coen.

Il genio della truffa

Harry Deane, critico e curatore d'arte che lavora per il magnate/collezionista Lionel Shabandar, ha in mente un piano con il quale truffare il suo capo, facendogli acquistare per un ingente somma di denaro un falso di Monet. L'uomo arruola nella sua squadra la bella texana PJ, campionessa dei rodei, alla quale fa fingere di essere in possesso del dipinto. Shabandar inizialmente sembra cadere nel tranello, ma il piano sembra andare a rotoli quando lo stesso miliardario decide di assumere un altro esperto per valutare la veridicità dell'opera.

Gambit

Hoffman realizza un film spiazzante che, complice anche l'esigua durata (90 minuti scarsi), si fa guardare con un certo divertimento ma non sfrutta appieno tutte le potenzialità di partenza. Se registicamente ci troviamo su piacevoli livelli di medietà, con uno sguardo alle numerose gag che riprende certi stilemi del cinema degli anni '90, a lasciare maggiormente delusi è proprio, paradossalmente, lo script dei Coen, che non ripetono il fortunato exploit del loro Ladykillers, altro remake di un classico inglese. La narrazione infatti non morde mai abbastanza e si adagia su un triviale a tratti imbarazzante, come nell'idiota e stereotipica caratterizzazione degli uomini d'affari giapponesi. Dopo i titoli di testa, realizzati con un simpatico stile cartoon, il film ha il merito di fagocitare serrate dosi di ritmo ma il canovaccio si alterna tra momenti più riusciti e discese nella monotonia solo per condurci al classico happy ending, infarcito di un dittico di colpi di scena non poi così imprevedibili. A rendere il tutto più frizzante ci pensa fortunatamente l'ottimo cast e l'alchimia tra Firth, la Diaz e Rickman fa faville in più occasioni.

Gambit Innocuo ma gradevole, Gambit è un divertente film scaccia pensieri che grazie al carisma degli interpreti e alcune gag spiritose (per quanto non originali) riesce a sopperire alle evidenti ingenuità narrative, nonostante la sceneggiatura curata dai fratelli Coen. La trama, sin troppo semplicistica e prevedibile nonostante il macchinoso inizio, vive così di alti e bassi che comunque non guastano il piacere di una visione senza troppe aspettative.

6

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