Frost/Nixon - Il duello, recensione del film di Ron Howard

Ron Howard ci racconta la più importante intervista politica della storia nel suo ultimo lavoro Frost/Nixon - Il duello.

Frost/Nixon - Il duello, recensione del film di Ron Howard
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Versus

David Frost (Sheen) è un presentatore di talk show televisivi, privo di grandi qualità giornalistiche ed ancor meno interessato alla politica, pensa e costruisce i suoi programmi pensando solo ai dati d'ascolto. Mentre è in Australia a girare uno spettacolo sui Record del mondo, viene a sapere delle dimissioni del presidente degli Stati Uniti Richard Nixon (Langella) e, dopo aver scoperto che la sua cerimonia d'addio è stata seguita da oltre 400 milioni di spettatori, decide di organizzare una serie di interviste proprio all'ex presidente, da poter poi vendere ai grandi Network americani. Le difficoltà però non mancano, Nixon pretende almeno seicentomila dollari come cachet per l'apparizione e sembra che nessuna televisione sia interessata all'argomento, un po' perché diffidenti da uno show man improvvisatosi giornalista, un po' per il costo eccessivo dell'intero progetto. Frost decide così di autoprodurre il programma, lavorando solo con la consulenza di due accademici. Quando le riprese iniziano, tuttavia, Frost si rende conto di avere a che fare con un avversario temibile che spera di sfruttare la relativa incompetenza del suo intervistatore per ripulirsi e poter rientrare in grande stile nell'agone politico. Le interviste diventeranno così un vero e proprio duello, senza esclusione di colpi, destinato a scrivere una pagina fondamentale della storia della televisione.

Il più grande scandalo della storia Americana

Il Watergate (chiamato così per via del palazzo in cui si svolsero buona parte degli illeciti) è stato uno scandalo politico di dimensioni immani che coinvolse in prima persona il Presidente Richard Nixon e lo costrinse, per la prima volta in duecento anni di storia, a dimettersi dalla carica. Tutto cominciò quando la polizia scoprì cinque uomini, entrati negli uffici del comitato centrale democratico cone idraulici, che montavano cimici e rubavano documenti dalle casseforti del partito. Capendo subito che non si trattava di un normale furto, due giornalisti del Washington Post decisero di indagare e, grazie agli indizi fondamentali forniti da una Gola Profonda anonima, arrivarono in possesso di alcune intercettazioni telefoniche che provavano in maniera schiacciante le responsabilità di Nixon nell'organizzazione del sabotaggio. Dopo aver tentato di insabbiare il tutto, il presidente fu prima sottoposto all'impeachment e poi costretto a dimettersi il 9 Agosto 1974. Il suo successore, tuttavia, decise di evitare a Nixon il processo, concedendogli in extremis la grazia presidenziale e consegnadogli di fatto un'immunità vitalizia.

Verso gli Oscar?

Forte delle sue cinque candidature agli Oscar (Miglior film, regia, attore protagonista, montaggio e sceneggiatura non originale), finalmente è arrivata nella sale italiane l'ultima fatica di Ron Howard che, prendendosi una pausa dai megakolossal tratti dai romanzi di Dan Brown, ha firmato la riduzione cinematografica della famosissima piéce teatrale di Peter Morgan, oggi in replica pressoché perenne a Broadway, ma già presentata in tutti i più importanti teatri europei.Lontano sia dalle velleità intellettuali di Oliver Stone (che aveva già tracciato un cupissimo ritratto della presidenza Nixon in Gli intrighi del Potere) che dal tentativo biografico di Tutti gli Uomini del Presidente, Ron Howard ha preso l'affaire Nixon come pretesto per riflettere sul potere dei media e sul senso profondo del giornalismo, soprattutto quello politico. Frost non è un grande inquisitore e non è neppure un uomo mosso da grandi principi morali, il suo lavoro è intrattenere e l'interesse che ha per il Presidente può essere misurato solo in termini di Share. Nient'altro. A questa concezione abbastanza manichea del lavoro televisivo si aggiunge anche un disperato tentativo di riconquistare il successo perduto nello show - biz americano, perché "il successo in America non è come quello nel resto del mondo". Allo stesso modo Nixon è una figura tormentata, non tanto dai rimorsi per aver infamato la presidenza con il Watergate, quanto dal desiderio di potere e gloria che lo attanaglia da sempre. L'arrivismo insito nel sogno americano raggiunge in queste due figure inquiete la sua massima espressione. Frost cerca il colpo televisivo fine a se stesso esattamente come Nixon vuole conquistarsi la sua seconda possibilità, al di la di ogni tipo di categoria morale codificata. Non ci sono eroi in questo film, Howard non ha voluto filmare un'agiografia di David Frost, né infamare ulteriormente Nixon, anzi, ha preferito scavare nei sentimenti profondi di entrambi e, si può quasi dire, che le varie sedute di registrazione hanno per entrambi un valore quasi terapeutico. A poco a poco, infatti, mentre in Frost cresce la consapevolezza dell'importanza del suo lavoro (non solo dal punto di vista televisivo, ma anche da quello politico ed umano), Nixon si lascia andare liberandosi così di tutti i pesi che s'era portato dentro per decenni.Ma Frost/Nixon non si esaurisce qui, il film è soprattutto un'amara riflessione sul potere della TV, e dei media in generale, di distorcere la realtà, piegando le vicende umane a pochi, fuggevoli, attimi in cui la luce rossa si accende o si spegne e Ron Howard, che conosce bene la Televisione avendoci lavorato per quasi un decennio, non si fa sfuggire l'occasione. Usando un linguaggio quasi metacinematografico ci mostra buona parte dell'intervista (soprattutto quella finale, fondamentale, dedicata allo scandalo Watargate) filtrata attraverso gli schermi delle telecamere che, con i loro primissimi piani, hanno distrutto Nixon ancor più della clamorosa ammissione di colpevolezza che ha fornito.Frost, dunque, alla fine vincerà, ma il film è tutt'altro che ottimista, forse si potrebbe pensare che i "buoni" hanno trionfato, ma il finale, sorprendentemente amaro e per nulla autocelebrativo, lascia più di un dubbio. "Il successo in America non è come quello nel resto del mondo": è proprio vero, negli Stati Uniti è un mostruoso gioco a somma zero, dove chi vince conquista tutto e chi perde finisce per sempre nella polvere. Ma cosa succede quando a vincere non è il migliore? O peggio ancora, quando a competere sono due mediocri egoisti e megalomani?

Dal palco al grande schermo

L'alchimia fra Michael Sheen e Frank Langella era nota a tutti. Dopo aver portato per anni, nei teatri di mezzo mondo, lo spettacolo teatrale, entrambi gli attori ormai non hanno più nessuna difficoltà a calarsi nel personaggio. Il David Frost di Sheen è un gigione donnaiolo con il sorriso (troppo) facile, totalmente incapace di valutare i rischi delle imprese in cui si imbarca, mentre Langella ritrae un Nixon pressoché perfetto, quasi mimetico, con gli stessi tic e le piccole grandi nevrosi che davvero affliggevano l'ex presidente. Inutile dire che le due interpretazioni, soprattutto quella di Langella (che se la vedrà con Brad Pitt per conquistare l'Oscar) sono magistrali e probabilmente il Tricky Dick di Frost/Nixon supera, per intensità drammatica anche l'Anthony Hopkins di Gli intrighi del Potere.

Frost/Nixon - Il duello Frost/Nixon, più ancora che un film politico è una riflessione sul potere dei media, fatta da un regista che li conosce fin troppo bene, avendoli attraversati in lungo ed in largo e con svariati ruoli. Ma al di la di questa prima lettura, Ron Howard è stato abile a decostruire le basi profonde dell’American Dream, riducendolo alla pura ambizione personale di due uomini, , che, seppur per motivi diversi cercano un riscatto personale di facciata che non ha niente a che vedere con i grandi valori Statunitensi. Un film a suo modo tragico, non solo perché narra il peggior scandalo della storia statunitense, ma soprattutto perché ci invita a riflettere su quanta schizofrenia ci sia fra le cariche pubbliche e gli uomini chiamati a ricoprirle.

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